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Detraiamo le spese in cultura

Giuliano Volpe: «Le idee che raccolgono le proposte di tutte le sigle rappresentative dell’archeologia italiana»

Giuliano Volpe

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Un piccolo miracolo il Covid-19 lo ha prodotto: gli archeologi, una categoria da sempre alquanto frammentata, hanno trovato l’unità nell’elaborazione di una serie di proposte per contribuire alla costruzione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Si insiste da più parti sulla necessità di coinvolgimento delle varie categorie della società per evitare un piano «verticistico», elaborato solo da politici e supermanager. Allora ecco le idee che, superando una logica di appartenenza e afferenza, raccolgono le proposte di tutte le sigle rappresentative dell’archeologia italiana.

L’iniziativa parte dalla convinzione che l’Italia abbia realmente bisogno di un Piano fondato sul patrimonio culturale, di cui l’archeologia è componente essenziale, per il suo rapporto privilegiato con il territorio e il paesaggio, e il suo ruolo strategico in un modello di sviluppo davvero nuovo per il nostro Paese. Il documento non è l’espressione di una corporazione che spera di ricavare qualche ristoro o qualche privilegio. È innanzitutto l’indicazione di un nuovo metodo.

Nessun progresso sarà possibile e nessuna riforma sarà utile se il post Covid non produrrà un cambiamento di mentalità, che non può prescindere da: • il rilancio e l’innovazione nel campo della formazione, ricerca, tutela, valorizzazione, comunicazione e gestione del patrimonio archeologico (e, più in generale, culturale), sentito finalmente non come un problema ma come un’autentica risorsa; • una maggiore integrazione tra pezzi delle istituzioni pubbliche (a partire da un diverso rapporto tra i Ministeri dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Mibact); • il pieno riconoscimento delle professioni dei beni culturali e delle imprese culturali e creative; • il superamento definitivo di una non più sopportabile «concezione proprietaria del patrimonio culturale» da parte della Pubblica Amministrazione; • l’apertura alle forze più vive e attive della società e la partecipazione dei cittadini.

La prima tappa per consentire a tutti di dare valore al patrimonio culturale è rappresentata dalla conoscenza. Non si può tutelare e valorizzare ciò che non si conosce. Ecco spiegato il grande spazio riservato all’accessibilità (fisica e cognitiva) e alla fruizione ampliata, alla digitalizzazione del patrimonio, alla definitiva liberalizzazione delle immagini anche per l’uso commerciale.

In tal senso va anche la richiesta di prevedere sempre la fase di studio e di pubblicazione (aperta, accessibile e disponibile per tutti) in tutte le attività di scavo archeologico. L’Italia ha, infatti, un triste primato: montagne di inediti. Grande spazio si riserva pertanto alla digitalizzazione degli archivi, alla pubblicazione del materiale storico inedito e alla proposta di un Inventario nazionale dei siti e dei ritrovamenti, necessario anche per velocizzare le procedure di autorizzazione dei vari interventi sul territorio. Basta con l’idea degli archeologi che rallentano e bloccano i lavori. L’Italia si doti di un grande archivio digitale che consenta di dare risposte rapide e affidabili già in fase di progettazione di un’opera.

Una delle proposte di impatto più generale riguarda la detrazione delle spese per le attività culturali. Analogamente a quanto già avviene per le spese sanitarie, si chiede che i biglietti di ingresso o gli abbonamenti a musei, teatri e cinema, le spese per libri, abbonamenti a riviste, prodotti cartacei o audiovideo, attività formative, laboratori, visite guidate, tessere di associazioni culturali, comprese le attività in campo archeologico, come visite guidate, laboratori, attività formative ecc. possano essere detratte dalla dichiarazione dei redditi. Il nostro Paese ha recentemente riconosciuto i musei e i luoghi della cultura tra i servizi pubblici essenziali.

La Convenzione di Faro sul valore del patrimonio culturale per la società, finalmente ratificata dal Parlamento, sancisce il diritto di tutti al patrimonio culturale. Si tratta, cioè, di un diritto fondamentale, come quello all’istruzione o alla salute. I mancati introiti fiscali sarebbero compensati dall’incremento dell’economia della cultura sostenuta dalla crescita della domanda. In tal modo si incrementerebbero i consumi culturali e si contribuirebbe a far emergere dal «nero» o dal «grigio» anche molte attività oggi sommerse (lo dimostra il successo del cashback nel sollecitare l’uso della moneta elettronica). Nella stessa ottica si propone l’istituzione di un fondo per supportare i privati che si facciano carico dei costi per indagini archeologiche preventive per interventi di costruzione e ristrutturazione e in particolare per le ricostruzioni post sismiche che prevedano indagini archeologiche.

La prima fase del ministero Franceschini è stata caratterizzata da una forte spinta riformatrice, che nell’ultimo anno si è andata spegnendo anche sotto il peso dell’emergenza sanitaria. È, però, proprio nei momenti di crisi che il coraggio riformatore è più necessario, soprattutto se è capace di ascoltare e recepire le proposte provenienti dall’interno della società e dei suoi corpi intermedi, cioè dal fulcro delle democrazie occidentali.

L'autore, archeologo, è stato presidente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici (2014-18).

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Giuliano Volpe, 28 febbraio 2021 | © Riproduzione riservata

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