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Da sempre Pitti

Nelle fotografie dell’Archivio Locchi, una città capitale della moda al massimo del suo «glamour», dal dopoguerra agli anni Settanta: una tradizione iniziata con le fiorenti industrie tessili del Rinascimento

All’Andito degli Angioini di Palazzo Pitti, la mostra «Fashion in Florence», aperta sino al 5 marzo in occasione della 91ma edizione di Pitti Uomo, riunisce un centinaio di splendide immagini in bianco e nero dell’Archivio Storico Foto Locchi, un patrimonio culturale tutelato dal Mibact che conta oltre 5 milioni di immagini.

La rassegna cala il visitatore nella Firenze dal dopoguerra alla fine degli anni Settanta, quando la città era mondanissimo crocevia internazionale di cultura, musica, arte, cinema, letteratura, ma anche moda. Come ricorda Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, la moda svolge un ruolo fondamentale connesso alla storia identitaria della città, poiché il fulcro dell’industria tessile risale al Rinascimento: d’altronde, a sancire l’importanza del made in Italy, fu fondato nel 1954 il «Centro di Firenze per la moda italiana» di cui è ora presidente Andrea Cavicchi.

Un patrimonio, dunque, che unisce maestria artigiana nella tradizione delle botteghe dei grandi artisti fin dal Medioevo e sapienza nel creare forme che sono il riflesso (ma al tempo stesso lo influenzano) dello spirito del tempo in cui sono calate. La mostra si apre infatti con i primi artefici della moda italiana, alla fine degli anni Quaranta, tra cui Giovan Battista Giorgini, che aveva conquistato fama come buyer a New York: vediamo dunque la Firenze delle feste nei salotti, con figure quali Elsa Schiaparelli, il duca di Windsor, o l’attrice Gene Tierney che passeggia in via Tornabuoni tra un signore dalla calvizie incipiente in giacca e cravatta e un altro, più aitante, in un abbigliamento che oggi sarebbe ancora molto trendy: maglia bianca, pantaloni larghi e scarpe da ginnastica.

Vengono poi gli anni delle gloriose sfilate nella Sala Bianca di Palazzo Pitti (1952-82), sebbene dall’Archivio Locchi siano emersi rullini scattati in quella sala, ed esposti in bacheca, che risalgono al 6 giugno 1948. Ci sono poi i balli nel giardino di Boboli, al Grand Hotel, o le feste al Golf dell’Ugolino, evocate da fantastiche immagini di modelle che, alla bellezza degli abiti che indossano, di Salvatore Ferragamo, Emilio Pucci, Roberto Capucci, Emilio Schuberth, delle Sorelle Fontana e di Simonetta Colonna di Cesarò, uniscono visi molto singolari, talvolta intensi, talvolta dall’espressione quasi assente, con gli occhi spesso bistrati come quelli della divina Callas, che appare in alcuni scatti. Non poteva mancare Audrey Hepburn e il suo legame con Wanda e Salvatore Ferragamo, o altre star come Paulette Goddard.

Con lo scorrere degli anni Cinquanta appaiono immagini di shooting più arditi, in cui le modelle assumono pose più libere, mentre passeggiano tra la folla o si soffermano nelle botteghe. Una sezione riguarda l’aspetto manufatturiero, la vita nei laboratori, le sarte che cuciono o ricamano, gli uomini che conciano le pelli: immagini che sembrano ancor più lontane nel tempo di quanto non lo siano quelle delle passerelle. Infine si arriva agli anni Sessanta e Settanta, dove cambia il modo di comunicare il linguaggio della moda, assumendo un carattere di raffinata spregiudicatezza.

La mostra, realizzata con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, Publiacqua, Toscana Aeroporti (e il sostegno di Dr. Vranjes, Edra, Caffè Gilli), è accompagnata dalla monografia edita da Gruppo Editoriale con testi inediti a cura di Caterina Chiarelli, Eva Desiderio e Stefania Ricci, e testi introduttivi di Eike Schmidt, Andrea Cavicchi ed Erika Ghilardi.

Laura Lombardi, 03 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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Da sempre Pitti | Laura Lombardi

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