Alberto Giacometti e Francis Bacon nel 1965. Foto © Graham Keen

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Alberto Giacometti e Francis Bacon nel 1965. Foto © Graham Keen

Corpo a corpo

Giacometti e Bacon alla Fondation Beyeler

Alberto Giacometti (1901-66) e Francis Bacon (1909-92): due personalità artistiche dagli stili e temperamenti diversi, ma uniti da riflessioni e tematiche comuni. La Fondation Beyeler li accosta in «Bacon-Giacometti», mostra che si svolge dal 29 aprile al 2 settembre. Sono allestite un centinaio di opere con prestiti importanti, come la prima versione della «Boule suspendue» conservata alla Alberto Giacometti Stiftung di Zurigo, che viaggia molto raramente. La maggior parte delle opere dell’artista svizzero sono prestate dalla Fondation Giacometti di Parigi di cui Catherine Grenier, curatrice della mostra, è la direttrice. L’abbiamo intervistata.

Come nasce l’idea di accostare i due artisti?
Dagli studi degli archivi della Fondation Giacometti è emerso che i due artisti si conoscevano e, anche se si sono incontrati poche volte, a Parigi e soprattutto a Londra, avevano potuto discutere sull’arte. Elementi biografici mostrano che tra loro si era creata un’intesa, che esisteva un profondo rispetto reciproco. Pur essendo due personalità molto diverse tra loro, si erano riconosciuti artisticamente. Di qui la nostra proposta alla Fondation Beyeler, che ha una lunga storia con Bacon e con Giacometti, di fare una mostra insieme.

Erano amici?
Non possiamo sapere fino a che punto. Sappiamo che Bacon ha detto di Giacometti che era uno dei suoi artisti preferiti, che era uno dei migliori disegnatori del XX secolo. Si sa che anche Giacometti amava il lavoro di Bacon e discutere con lui. In fondo avevano diversi spunti di riflessione comune. Erano tutti e due dei ribelli per la loro epoca, avendo scelto la via della figurazione mentre dominava l’astrazione. Entrambi erano stati segnati dal Surrealismo e ne condividevano il fascino per le questioni legate alla violenza e all’erotismo.

Che similitudini avete rilevato?
Un primo elemento è che entrambi hanno posto il corpo umano al centro del loro lavoro e ne hanno fatto una tematica quasi unica. Sono come ossessionati dal corpo e dal viso. Rifanno senza sosta i ritratti degli stessi modelli. Uno è comune, l’artista Isabel Rawsthorne, amica di Bacon, e per un certo tempo amante di Giacometti. Fu lei a farli incontrare.

Quale altra tematica comune emerge?
Entrambi creano all’interno del quadro uno spazio chiuso che tende a restringere la composizione, una sorta di cornice nella cornice. Nella scultura di Giacometti questo si traduce nel motivo della gabbia. Ciò testimonia una concezione comune dello spazio, e più in generale, della pittura. Inoltre entrambi si interessavano alle prospettive deformate, alle anamorfosi, alle distorsioni dei corpi.

I due artisti si sono reciprocamente influenzati?
Si è spesso detto che Bacon avesse appunto ripreso da Giacometti il principio della gabbia. A me non pare. Penso piuttosto che i due artisti condividessero le stesse visioni e si ponessero gli stessi interrogativi, pervenendo dunque spesso a conclusioni comuni, che poi mettevano in atto con stili completamente diversi. Pensiamo alla tendenza comune di tenere a distanza lo spettatore. Giacometti la otteneva creando piedistalli molto importanti e dando origine così a prospettive stupefacenti. Bacon invece sentiva la necessità di proteggere il quadro con un vetro.


Alberto Giacometti e Francis Bacon nel 1965. Foto © Graham Keen

Luana De Micco, 03 aprile 2018 | © Riproduzione riservata

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Corpo a corpo | Luana De Micco

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