Come uno scultore guarda le sculture degli altri

In un recente libro subito tradotto da Einaudi Antony Gormley e Martin Gayford, un artista e un critico, chiacchierano a briglia sciolta dentro millenni di opere plastiche

«Parinirvana Buddha» (XI-XII sec) in Gal Vihara, Polonnaruwa, Sri Lanka. Foto: Pierre Vauthey/Sygma / Getty Images.
Stefano Causa |

Ci sono le statue dell’Isola di Pasqua e il Buddha steso di quattordici metri dello Sri Lanka, i monoliti e l’esercito di terracotta cinese. Il «Bacio» di Brancusi e le terrecotte di fine Ottocento di Medardo Rosso. E compaiono Michelangelo, Ghiberti e Rodin, Giuseppe Penone e Boccioni, Anselmo, Walter De Maria, Louise Bourgeois e Richard Serra.

In quest’immersione nella scultura universale imbocchiamo piste o rivediamo cose che credevamo di sapere a memoria ma su cui è bene far opera di manutenzione. Pubblicato a Londra appena un anno fa, Plasmare il mondo è un portfolio di immagini anche rare (e ne è meritoria la traduzione non fosse altro perché, qui da noi, la scultura si è guardata e studiata meno della pittura).

Esistono diversi inviti alla scultura che ci sono capitati in mano negli anni universitari. Umberto Allemandi, per esempio, editò giusto trent’anni fa un notevole manuale di istruzioni sull’uso della scultura barocca. Ma questo è una chiacchierata a briglia sciolta tra due che camminano dentro millenni di opere plastiche. L’esercizio, sollecitante e divertente, di saltare di palo in frasca, a rischio di rompersi l’osso del collo, innescando cortocircuiti tra passato e presente, farà inorridire chi sia sprofondato nel verticalismo degli studi odierni.

Certo bisogna saperlo fare. A impegnarvisi sono qui uno scultore di professione e un critico d’arte che ha speso settimane a ragionare di stili e modi di visione con un pittore e fotografo come David Hockney. Non potevamo capitare meglio. Ora intrattenersi su cose d’arte con uno del mestiere non è come con uno storico dell’arte. Questi cresce dentro una gabbia e, se è bravo, passa la vita tentando di evaderne. Uno che fa l’artista, scultore o pittore che sia, una gabbia si presume non l’abbia. Dinanzi alle sculture, sue e degli altri, è libero di dire ciò che gli pare; sviste comprese che, spesso, come nella migliore improvvisazione musicale, sono benvenute.

Se andare per musei con un pittore (o un restauratore) è poco meno che salutare, passare in rassegna millenni di sculture in compagnia di uno scultore è rinfrancante. Alla peggio noti cose che non avresti mai notato. Certo, a un artista non chiedi del suo lavoro; ma piuttosto di quello degli altri. E qui a incalzare è un critico d’arte ed eccellente scrittore che padroneggia le strategie della divulgazione (non l’arte di dire cose difficili in modo semplice, ma quella di dire cose interessanti senza annoiare).

Luoghi, supporti, materiali, stili e mentalità, contingenze particolari di spazio e luce che ci spingono ad andare a vedere le opere dal vivo. Quando la migliore storia dell’arte vien fuori dagli angoli della tastiera, molto di ciò che chiamiamo intelligenza diventa una forma di immaginazione. Parola di Lucian Freud: pittore e nipote di un certo signore austriaco che, di queste cose leggere e vaganti, pare che se ne intendesse. 

Plasmare il mondo. La scultura dalla preistoria a oggi,
di Antony Gormley e Martin Gayford, traduzione di Mario Capello, 360 pp., ill. col., Einaudi, Torino 2021, € 48

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