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Tullio Pericoli, «Discesa», 2024, olio su tela (particolare)

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Tullio Pericoli, «Discesa», 2024, olio su tela (particolare)

Tullio Pericoli, un manuale per reimparare a vedere

I paesaggi recenti dell’artista marchigiano appartengono a una lunga catena di immagini indissolubilmente legate che vanno da Tiziano a Klee, Mondrian, Morandi e Steinberg.

Stefano Causa

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Alle porte dei novanta Tullio Pericoli è il grande giovane della scena pittorica nostra. Questo volume, Terremobili, di cui fino sl 28 giugno è presentato un tesoretto in una mostra presso la Galleria Consadori a Milano, ne è attestazione piuttosto impressionante. Altri giocano a rifare sé stessi, reiterando il proprio tempo migliore perché, a un certo punto, o si scaricano le pile o il pubblico non è riuscito a fare un pezzo di strada con l’artista, rimanendone legato a una fase selezionata come un salvavite. 

È successo con Lucio Battisti di cui l’ultimo decennio di lavoro (1986-94) con i testi di Pasquale Panella è scorso senza larghi riscontri e rimane uno dei tesori meglio custoditi dell’arte italiana di fine secolo. Alla soglia degli ottanta David Gilmour incide dischi di dignitoso manierismo, ma quando si ripresenti nell’anfiteatro di Pompei come è successo nel 2016, sa bene che il pubblico è venuto per sentire lo stesso poker di pezzi e assoli di chitarra che faceva quando era frontman nei Pink Floyd mezzo secolo fa. Pericoli no. 

Non ripete il lavoro del ’67 fatto per un racconto di Ti con Zero di Calvino né, vent’anni dopo, ritenta la sagacia sorniona del definitivo volto di Umberto Eco destinato a rubriche e copertine. Ascolano, classe 1936, di giovanile acclimatazione milanese esplora e sperimenta, mutando pelle senza cambiare. Non rifà sé stesso a beneficio del pubblico, perché lui per primo non si divertirebbe a ripesticciare il già fatto. Assomiglia a Tiziano che, ai tempi del «Supplizio di Marsia» del Museo Arcivescovile di Kromeriz (per Giuliano Briganti il quadro più bello del mondo) dialogava con sé stesso coinvolgendo una rosa selezionata di demoni: da Michelangelo ai precedenti lagunari. Interlocutori e demoni di Pericoli oggi? 

Sono diversi e sono quattro. Sempre loro, affrontati con altra consapevolezza e senza alcuna acquiescenza. Il Klee maturo ed estremo da cui Pericoli ha tratto l’uso decorativo del colore che Klee, a sua volta, aveva scoperto ventenne, agli esordi del secolo, visitando gli scavi di Pompei. Dopo, o insieme a Klee, la serie degli alberi di Piet Mondrian del secondo decennio. Senza contare i lunghi appostamenti dello sguardo di Morandi. In mezzo, primo tra pari, la capacità di variare registri senza mai perdere quota e acutezza del segno di Saul Steinberg

Terremobili, da scrivere tutto attaccato in modo che il lettore, pronunciandolo mentalmente, colga al volo l’assonanza con i fenomeni sismici che pure rischiano di sovvertire a ogni passo gli equilibri cromatici e di linee delle tele, è uno dei capolavori della pittura italiana degli ultimi venticinque anni. Ma richiede dedizione. La giornata di uno scrutatore: Pericoli non pretende di meno, così come le pareti dei Klee del Museo di Berna non sono per animali pigri. 

La serie è costituita da un’ottantina di tele di medie o piccole dimensioni (dai 20 ai 60 cm) stampate, con grande acume dell’editore, in formato quadrotto. La prima s’intitola «Il treno» e legittima l’idea che, come presa di contatto, questo lavoro di Pericoli vada sfogliato come si stesse, appunto, guardando fuori dal finestrino. Ma poi occorre rifare il cammino da capo, lentamente, confrontando le immagini.

Viaggiare, dice Calvino come stesse traducendo Pericoli in parole, serve a riattivare per un momento l’uso degli occhi. Queste tele approntano un nuovo alfabeto paesistico e sono un manuale per reimparare a vedere. Dovessimo sceglierne tre, diremmo: l’«Albero». «Il frammento con albero» e «Al vento». Prese in blocco fanno da argine all’inconcludente provvigione di immagini che ricaviamo dallo scrolling dello smartphone. Ma sono una lezione su Mondrian e sul Morandi in grigio e terre degli anni Cinquanta e, in definitiva, sulla rappresentazione moderna del territorio. Ci sono dentro la galleria delle carte geografiche al Vaticano e i lontani di Domenico Veneziano e Piero della Francesca; le Marche natie e il Vesuvio in eruzione. 

È un lavoro che sarebbe piaciuto a narratori delle pianure come lo scrittore Gianni Celati e il suo alter ego fotografo Luigi Ghirri; e certo non avrebbe scontentato un interlocutore storico di Pericoli come Calvino stesso. La storia dell’arte è una lunga catena di immagini indissolubilmente legate, diceva. Non da aggirare a scanso di Pericoli ma, semmai, andandoci incontro.  

 

 

Terremobili, di Tullio Pericoli, 192 pp., ill. col., Electa, Milano 2025, € 32

Stefano Causa, 28 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

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