Carlo Mattioli e Caravaggio in dialogo
Alla Pinacoteca Ambrosiana la serie dei «Cestini di Caravaggio» a confronto con la leggendaria «Canestra di frutta» del Merisi

Il ciclo dei «Cestini di Caravaggio», esposto da Carlo Mattioli (1911-94) alla Biennale di Venezia è, paradossalmente, un ciclo inedito. Quella era infatti la Biennale del 1968 che, stroncata dalla contestazione, durò un solo giorno. Da allora, queste venti bellissime opere a olio erano rimaste chiuse nello studio dell’artista, e solo ora sono tornate alla luce (fino al 3 luglio) nella Pinacoteca Ambrosiana, con la mostra «Mattioli/Caravaggio. The Lightful Fruit», proprio al cospetto del loro «modello»: quella «Canestra di frutta» di Caravaggio che è uno dei tesori più preziosi fra i molti lasciati dal cardinale Federico Borromeo alla collettività.
Ideata e organizzata dalla Fondazione Mattioli, la mostra si articola in tre ambiti principali, e in più sale: nelle prime due scorre il racconto del processo creativo, attraverso i materiali utilizzati dall’artista, mentre nella terza, grande sala, dominata dalla «Canestra» (la «Fiscella») di Caravaggio, si compie il dialogo fra quel capolavoro e i dipinti di Mattioli, declinati nel suo consueto, sensibile, linguaggio in bilico tra figurazione e astrazione, in un processo che si focalizza via via sui dettagli, fino a fare del canestro l’oggetto vero della sua ricerca. Nella quarta stanza s’indugia sulle ultime sue opere legate alla «Canestra», mentre, un po’ discosta, c’è la sezione video. Accompagna la mostra, un catalogo (edito da Tacuino) con un testo inedito di Claudio Strinati e un contributo di Roberto Tassi, il raffinato critico che lo accompagnò più da vicino.