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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliPer fortuna «sono molti gli episodi non menzionati, gli artisti non citati, le mostre non raccontate» nella monumentale (a partire dalla copertina disegnata dal monumentalista del minimalismo, Daniel Buren) raccolta di scritti di Massimo Minini, gallerista che nel 2023 toccherà il cinquantesimo anno di attività. Visti i precedenti (ad esempio la monumentale, pure quella, mostra dedicatagli dalla Triennale in occasione del quarantennale) c’è da aspettarsi di tutto da un gallerista che scrive, dipinge e che è stato presidente della Fondazione Brescia Musei, carica da cui si è dimesso nel 2018. Certo è che se Minini avesse scritto di tutti quelli (citati, ma forse non tutti, alla fine del libro) di cui avrebbe voluto o potuto scrivere, non sarebbero bastate le 414 pagine già irte di nomi, bei nomi come si suol dire.
Cuore del volume, un’antologia che include gli articoli scritti per «Il Foglio», le due raccolte dei Pizzini, brevi ma efficacissimi profili di artisti amati, uscite nel 2009 e nel 2013. Perché è soprattutto come «ritrattista» che il Minini scrittore (come pittore predilige invece il paesaggio dell’isola di Stromboli) dà il meglio di sé, anche se si ha sempre la sensazione che per pudore o per prudenza non dica proprio tutto. Ci sono poi i comunicati stampa, tipologia nella quale la galleria bresciana si distingue (in meglio) dalla concorrenza per chiarezza e per la partecipazione autentica a ciò che, esposto, viene annunciato. Ci sono i saluti ai colleghi, agli artisti e ai critici scomparsi, e si parla, tra l’altro, di Claudia Gian Ferrari (che amava raccontare, ma l’interessato smentisce, che da ragazzi lei e il futuro collega giocavano al dottore), di Kounellis, di Lucio Amelio, di Mario Merz, di Spalletti, di Szeemann.
Più lunghi epitaffi toccano a Celant («un gigante»), Daverio, a uno dei suoi maestri, Luciano Pistoi. Un capitolo intero spetta all’amatissimo Giulio Paolini: «un classico [...]. Nelle mie mutevoli classifiche, resta sempre ai primi posti [...] Giulio è nell’Olimpo del XX secolo». Già, le classifiche; come gli elenchi, sono una passione del gallerista, che sciorina i 150 artisti italiani imprescindibili del ’900; e, per «una diversa storia dell’arte», gli elenchi dei 10 «Champions» assoluti dello stesso secolo (Picasso, Duchamp, Brancusi, Matisse, Fontana, Mondrian, Malevic, Boccioni, Hopper, Pollock), degli altrettanti «Grandi» (c’è Paolini insieme a Koons). «Curiosi», «Seriosi», «Ironici», «Figli di mignotta» (Manzoni, Warhol, de Chirico, Baldessari, Modigliani, Gilbert&George, Merz, Bacon, Cattelan, Kosuth) e dei «Maledetti». E poi elenca tutti gli artisti sui quali ha bruciato una concorrenza in verità non sempre sul pezzo, o quelli che ha riscoperto, o esposto in controtendenza: Clemente, Garutti, Ian Wilson, Spalletti, Cattelan, Tino Sehgal, Ghirri, Calderara, Golub ecc.
Contemporaneista che non disdegna le puntate nell’antico (belle le pagine sugli affreschi di Romanino a Pisogne), mantiene rapporti aperti con quelli che teoricamente non dovrebbero condividerne le passioni: ha «processato» Testori, è vero, ma non demonizza affatto Jean Clair ed è in ottimi rapporti con Vittorio Sgarbi, lodato recentemente per la sua attività di presidente del Mart. Il libro si apre con un’autointervista che cerca di essere impietosa, prosegue con la cronaca di qualche rapporto complesso, come quello che mantiene con Giancarlo Politi, suo primo datore di lavoro a «Flash Art» e si chiude con una sorpresa, una poesia del molto ammirato Giuliano Briganti. Versi che indugiano sugli «occhi tristi» di una «puttana», «madonna dell’Umiltà con una copia dell’Unità». Vietato cercarvi metafore riguardanti i tanti mestieri dell’arte.
Scritti,
di Massimo Minini, 414 pp., Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2022, € 28,50

Massimo Minini
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