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Al Centre Pompidou gli scatti del fotografo sulla baraccopoli dove per anni si sono ammassati i migranti nella speranza di poter raggiungere l'Inghilterra
- Luana De Micco
- 15 ottobre 2019
- 00’minuti di lettura


«Giovane eritreo che suona cella musica», di Bruno Serralongue. © Air de Paris
Bruno Serralongue nella giungla di Calais
Al Centre Pompidou gli scatti del fotografo sulla baraccopoli dove per anni si sono ammassati i migranti nella speranza di poter raggiungere l'Inghilterra
- Luana De Micco
- 15 ottobre 2019
- 00’minuti di lettura
Luana De Micco
Leggi i suoi articoliGli scatti di Bruno Serralongue realizzati tra i migranti di Calais sono esposti alla Galérie de photographie del Centre Pompidou nella mostra «Calais, testimoniare la Giungla», che si tiene dal 16 ottobre al 24 febbraio. La «Giungla» era la baraccopoli nata nei pressi del porto di Calais, sulla Manica, dove per anni afghani, eritrei o siriani si sono ammassati nella speranza di poter raggiungere l’Inghilterra. La bidonville è stata smantellata nel 2016.
Serralongue (1968) immortala i momenti forti dell’attualità ma non lo fa con l’occhio del fotoreporter. Il suo è un approccio più interiore e documentaristico. Il fotografo, al quale il Jeu de Paume ha dedicato una retrospettiva nel 2010, passa lungamente la stampa al setaccio per raccogliere il maggior numero di informazioni e punti di vista prima di recarsi sul posto e proporre la sua visione dei fatti.
Ha cominciato a interessarsi agli «esiliati» di Calais dal 2005. Li ha seguiti giorno per giorno, mostrando anche momenti di vita quotidiana. Accanto agli scatti di Serralongue, il Pompidou allestisce le foto realizzate dai reporter dell’agenzia France Presse nei momenti d’attualità, come durante l’incendio che ha devastato la baraccopoli nel 2016.
Presenta inoltre delle videointerviste di alcuni fotografi che hanno lavorato sul posto, tra cui Philippe Huguen, Olivier Morin e Virginie Grognou. Una sezione, «Les habitants», raccoglie infine le testimonianze degli «abitanti» della Giungla, i film, le foto, che gli stessi migranti hanno realizzato con i loro cellulari. Alcuni di loro, nota il museo parigino, sono diventati artisti loro malgrado, come Shadi Abdulrahman, Riaz Ahmad o Alpha Diagne.

«Giovane eritreo che suona cella musica», di Bruno Serralongue. © Air de Paris