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Michela Moro
Leggi i suoi articoliBravo bravissimo, buono buonissimo. Filippo Lotti, amministratore delegato di Sotheby’s Italia, dall’alto del suo rostro sostiene e batte ogni anno almeno 22 iniziative di beneficenza, dei generi più vari. Anche l’asta di arte contemporanea, che si terrà a Milano il 10 maggio a favore di un progetto del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, fa parte di queste attività.
«Noi di Sotheby’s siamo particolamente sensibili alle iniziative benefiche, perché l’asta è un ottimo catalizzatore d’interessi; l’importante è che il progetto sia valido, che il partner abbia voglia di futuro e che tutto avvenga nella massima trasparenza» e prosegue «riceviamo richieste continuamente, ma selezioniamo solo progetti che siano il frutto di un’idea e abbiano il senso della convivialità: bisogna coinvolgere per solidarizzare e ottenere buoni risultati».
Ed ecco che Lotti cala il martelletto per Vidas, Caf, Caritas, Fai, Trust the Forest; ha battuto chili di castagne dell’Irpinia per l’Airc Campania e oggetti immateriali come il diritto di dare il nome ai personaggi di un romanzo di Faletti per Lavazza, mentre per il terremoto di Mirandola ha raccolto più di 150mila euro in opere d’arte.
Per la beneficenza la casa d’aste lavora gratis, tutto il raccolto va alla causa e non ci sono riserve sui lotti, ma il pubblico di una serata mondana è più difficile che in un’asta normale, e ci vuole l’esperienza di Lotti per tenere tutto insieme, a volte in luoghi non deputati come la loggia in piazza della Signoria a Firenze, o il rumoroso Salone d’Onore della Triennale di Milano.
Le «charity auctions» furono inventate, nella modalità di social foundraising, dalla scrittrice Edith Warthon: con il leggendario e celeberrimo mercante fiorentino Elia Volpi, la Wharton organizzò nel 1916 all’Hotel Plaza di New York la prima asta per «persone con il piacere di donare» e Lotti perpetua la tradizione, certo meglio se in compagnia di Sharon Stone, come per l’asta di Anlaids.
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