Autopsie caravaggesche

La storia di una delle più importanti mostre italiane del dopoguerra a Milano nel 1951

Una sala della mostra del 1951 su Caravaggio a Palazzo Reale a Milano
Stefano Causa |

Qualunque lettore di questo giornale si offenderebbe a sentirsi dire che il mestiere della storia dell’arte è soprattutto il risultato di alcune esposizioni: «le drammatiche prime dell’arte» come le definiva Roberto Longhi. Dal canto loro gli storici contemporanei fanno finta di non saperlo ma, per dirne una, la propaganda fascista in Italia meridionale alla vigilia della guerra passa anche attraverso la mostra sui tre secoli dell’arte napoletana (Napoli 1938). Lo stesso Neorealismo, estremo sussulto vitale della nostra cultura, ha il coronamento e, insieme, la legittimazione nella mostra sul Caravaggio inauguratasi a Milano settant’anni fa.

Il libro di Patrizio Aiello su Caravaggio è per lappunto un affondo monografico sul quest’indimenticata rassegna che, Longhi timoniere, si tenne al piano nobile di Palazzo Reale. Come ogni libro germinato dall’officina milanese di Giovanni Agosti, è un cimento centrifugo, segnato da un’impressionante apertura di compasso. Intanto intercetta un tema, il cosiddetto realismo, che giusto allora, contro un pugno di detrattori (uno su tutti Elio Vittorini), andava riqualificandosi da argomento di nicchia a tema di successo, in predicato di diventare di moda (Milano ’51 fu un’irripetibile ribalta popolare delle autopsie condotte da Longhi da un quarantennio sul corpo vivo del caravaggismo). Inoltre è un libro che tratta di uomini e problemi della storia dell’arte in quelle faticose stagioni di ricostruzione; poi illustra come mettere in piedi una mostra sia, oggi come allora, affare dannatamente imprevedibile per la somma di spinte contrastanti da armonizzare.

Quello di Aiello è un libro dove si dissotterrano strategie, malumori, sgambetti, e dove circola, soprattutto, molto danaro (le mostre sono tra i fossili della vita economica recente del Paese); è un libro dove l’implicita premessa è che inventarsi una mostra con relativo catalogo comporti regole diverse dallo scrivere un saggio. Senza contare, poi, le ricadute scientifiche in senso stretto (tutti gli studi successivi sul pittore, a cominciare dalla stessa monografia di Longhi, portano l’odore delle sale di Caravaggio ’51). Di questo e altro ci mette al corrente l’autore con dovizia filologica, come testimonia il rinvenimento, presso l’Archivio fiorentino Alinari, di una serie di fotografie inedite sulla mostra.

I libri sulle mostre costituiscono uno dei filoni più promettenti della storiografia degli ultimi anni. Pensiamo, tra gli altri, all’excursus su Giotto a Firenze nel 1937 o a quello, già citato, sull’esposizione di Napoli del 1938, che fu anche una cruciale disamina di problemi caravaggeschi (uscito nel 2013 presso l'editore Paparo, il volume contiene un’analisi sala per sala del percorso in Castelnuovo). Se ben fatte, le esposizioni contribuiscono a far sbalzare, in controluce, le vicende recenti: sarebbe difficile restituire il clima torinese del dopoguerra e, insieme, l’arte nella regione con le sue stagnazioni e accelerazioni, tralasciando la rassegna sul Barocco piemontese del 1963. Così come, senza considerare la mostra del 1986 sul Seicento fiorentino, verrebbe a mancare un tassello fondamentale per ricostruire lo stato dell’arte a Firenze nell’ultimo ventennio del Novecento. Ma è venuto il tempo di scaldare i muscoli per il libro, più urgente che necessario, su Civiltà del ’700, Napoli 1979, la madre di tutte le mostre di fine secolo.

Caravaggio 1951, di Patrizio Aiello, 224 pp., ill., Officina Libraria, Milano 2019, € 20,00

© Riproduzione riservata La copertina del catalogo della mostra milanese su Caravaggio del 1951
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