Una mostra monografica di Alexander Archipenko (1887-1964) mancava dall’Italia dal 1963 quando, prima a Roma, in Palazzo Barberini, poi (in formato ridotto) a Milano, alla Galleria San Fedele, fu presentata una sua retrospettiva.
Ora è Matteo Lampertico, nella sua ML Fine Art a dedicargli, fino al 12 dicembre, «Archipenko in Italia», una mostra di studio realizzata con Stephenson Art, Londra, con il supporto della Fondazione Archipenko.
La rassegna esplora il ruolo d’ispiratore da lui rivestito per molti artisti italiani del suo tempo: futuristi della prima ora, come lo stesso Boccioni, per i suoi incastri di volumi; futuristi della stagione «meccanica» degli anni Venti e Trenta (Depero, Prampolini, Fillia, Diulgheroff, Mino Rosso, Thayaht, Regina), per le forme e i materiali «industriali», e i «metafisici» de Chirico e Carrà che, come suggerito sin dal 2005 da Maria Elena Versari (curatrice del catalogo) e poi condiviso da altri studiosi, nel creare i loro manichini furono suggestionati dalle sue figure.
Il merito della sua conoscenza in Italia va soprattutto ad Alberto Magnelli, l’artista che, scoprendone a Parigi il lavoro nel Salon del 1914, acquistò tre sue sculture per lo zio collezionista e le portò a Firenze. Ma fu la Biennale veneziana del 1920 a consacrarne la fama, non solo in Italia.
In mostra sfilano sue opere storiche, sculture (come «Figura drappeggiata», 1911, che Boccioni vide a Parigi nel 1912, qui in un’edizione del 1968), sculto-pitture (le innovative sculture dipinte) e bellissimi disegni e gouache, accostati in confronti documentati e convincenti a importanti lavori degli italiani citati (con un capolavoro come «Penelope», 1917, di Carrà).
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