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Il Padiglione Lettonia alla Biennale Architettura 2023

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Il Padiglione Lettonia alla Biennale Architettura 2023

Alla Biennale Architettura allestimenti multimediali strabordanti e sindrome del laboratorio

Il processo in atto di sostanziale sovrapposizione con la sorella maggiore dell’Arte si ritrova puntualmente espresso anche negli aspetti di display e di comunicazione

Alessandro Colombo

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Il processo in atto di sostanziale sovrapposizione della Biennale di Architettura con la sorella maggiore dell’Arte si ritrova puntualmente espresso anche negli aspetti di allestimento e di comunicazione. Al di là delle evidenze macroscopiche (la distribuzione degli spazi e le partizioni utilizzate nel 2022 alle Corderie dell’Arsenale sono rimaste tali e quali quest’anno), l’Architettura sembra sempre più rinunciare a mostrare progetti, in favore di rappresentazioni antropologiche, sociali, economiche e politiche che non vanno molto al di là dell’analisi, se non nell’enunciazione di processi riparatori e di dichiarazioni d’intenti.

In questo senso l’allestimento perde addirittura i suoi autori (nel colophon generale non compare neanche la voce) e la resa spaziale assume i modi dell’installazione, peraltro già a lungo esplorati, della resa grafica/multimediale di idee e di ideologie. L’immagine percepita e il suo significato sono sempre più sovrapposti con una chiara volontà che parte dal contenuto per dettare la forma: un allestimento che traduce un'ideologia. Ne è un esempio la tettoia fuori scala e fintamente bucata appiccicata sul fronte del Padiglione Centrale ai Giardini.

La mostra principale, il «Laboratorio del Futuro», si esplica come una rassegna di autori, practitioners, che più che progettisti appaiono come autori/artisti, ognuno collocato nel proprio spazio. Ai Giardini il Padiglione Centrale è architettonicamente diviso in sale e, quindi, non è difficile dare ad ognuno il suo spazio. Il problema nasce all’Arsenale, ove lo spazio delle Corderie eredita il layout del 2022 e viene affettato nella sua lunghezza in tanti segmenti quanti ne servono, senza alcuna considerazione e rispetto per il luogo. In questo modo le aree, quasi stand, vedono apparire le possenti colonne come capita e sparire lo spazio nella sua continuità e qualità.

La rassegna si apre e si chiude con aree circolari unite da frammenti del tutto eterogenei e, quando si trova un’area aperta semplicemente allestita come uno studio con tavoli, disegni e modelli illuminati con lampade a braccio (Flores & Prats Architects) si tira un respiro di sollievo e si riconoscono le amate Corderie. L’autore dell’identità grafica, Fred Swart, viene invece svelato e siamo così in grado di riconoscergli un progetto corretto che sceglie articolate didascalie a più altezze che disegnano piacevoli skyline sui muri. Si nota la presenza costante del ritratto degli autori/autrici perché le installazioni devono avere un nome, una spiegazione, ma soprattutto un volto. La scelta però di grandi testi prespaziati, in argento su fondi di vari colori, si presenta spesso illeggibile e irritante nel costringere il lettore a spostarsi alla ricerca di un riflesso che permetta la leggibilità.

Strabordante è l’uso del multimediale. L’audiovideo, preferibilmente nelle sue forme proiettate e poi in grandi monitor, è adottato come forma di comunicazione principe: ogni tipo di allestimento, parete decorata, installazione spaziale, tessitura, tutto deve essere cornice e sfondo per lo schermo/proiezione ipertecnologico che narra, fa narrare, illustra, immerge, stupisce, circonda. I Padiglioni nazionali certo raccontano storie molto più variegate e diverse, ma alcuni filoni sono ugualmente desumibili.

Accanto all’imperante audiovideo registriamo una notevole diffusione della sindrome del laboratorio. Come ci insegnavano a scuola, ci vuole un luogo dove fare i lavoretti e così è un fiorire di scaffalature, tavoli, sgabelli per improvvisare accampamenti che permettano la succitata attività con intenti (ri)educativi. Si va dal preciso laboratorio della Germania, che ha collezionato i materiali usati nel 2022 catalogandoli per il riutilizzo in due atelier, per approdare al molto più poetico spazio dell’Olanda, che coniuga lavoro manuale con graphic novel sui muri a tutta altezza, senza dimenticare il Giappone, che nel suo basement aperto al pubblico, arriva addirittura a produrre distillati utilizzando le foglie degli alberi dei Giardini.

L’approccio scenografico che disegna luoghi per performance è meno utilizzato e in questo risiede la più grande differenza rispetto all’ultima edizione della Biennale d’Arte. Il genere non è comunque privo di estimatori: la Francia realizza un teatro sferico ove i colloqui degli attori sulla scena proseguono con il pubblico nel camerino attrezzato. Ma il nostro premio va alla Lettonia, dove il piccolo Padiglione è allestito come un supermercato nel quale i prodotti sugli scaffali sono sagomette di cartone che impersonificano i vari Paesi delle ultime edizioni rappresentate con tanto di titolo e logo. Al pubblico il compito di scegliere e ai curatori quello di raccogliere i risultati a fine manifestazione.

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Il Padiglione Lettonia alla Biennale Architettura 2023

Alessandro Colombo, 16 giugno 2023 | © Riproduzione riservata

Alla Biennale Architettura allestimenti multimediali strabordanti e sindrome del laboratorio | Alessandro Colombo

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