Al Mucem di Marsiglia la cultura Pop dei faraoni

L’originalità della mostra risiede nell’esporre accanto ai reperti antichi, con prestiti del Louvre, del British Museum e del Museo Egizio di Torino, anche opere d’arte orientale e occidentale dal Medioevo ai nostri giorni e oggetti della vita quotidiana

«Grey Area» (1993) di Fred Wilson Foto di Fred Wilson Studio
Luana De Micco |  | Marsiglia

Nel 2019 la mostra «Tutankhamon. I tesori del faraone», ospitata alla Villette di Parigi, aveva attirato 1,3 milioni di visitatori e 150mila biglietti erano stati venduti prima dell’apertura. Come spiegare la dimensione mitologica, alimentata anche dalle spettacolari scoperte nei siti archeologici, che circonda ancora personaggi come Cleopatra, Nefertiti o Ramses? Risponde la mostra «Faraoni superstar» del Mucem che, prevista in un primo tempo per l’estate 2020, è stata ora riprogrammata dal 22 giugno al 17 ottobre.

«L’idea di allestire una mostra sulla celebrità postuma dei faraoni ci è venuta quando abbiamo ritrovato nella collezione del Mucem opere d’arte e oggetti recenti che recavano nomi di re e regine d’Egitto, ha spiegato Frédéric Mougenot, conservatore al Palais des Beaux-Arts di Lille, che ha curato la mostra insieme a Guillemette Andreu-Lanoë, direttrice onoraria del Dipartimento di Antichità egizie del Louvre. Tra gli oggetti vi erano una stampa dell’800 che mostrava Sesostri I fra i predecessori di Napoleone III, un preservativo della marca statunitense Ramses e un disco di una canzone di France Gall dal titolo “Nefertiti”».

L’originalità della mostra, con un percorso in 300 opere, risiede nell’esporre accanto ai reperti antichi, con prestiti del Louvre, del British Museum e del Museo Egizio di Torino, anche opere d’arte orientale e occidentale dal Medioevo ai nostri giorni e oggetti della vita quotidiana e della cultura pop:«Il nostro legame con i faraoni ci ricorda che sogniamo un mondo più soleggiato, prospero e piacevole in cui vivere. I re e le regine d’Egitto, sottolinea ancora Mougenot, veicolano immagini di bellezza, ricchezza, potere, che sono aspirazioni comuni oggi. La loro fama, anche dopo la morte, fa sperare nell’eternità del corpo e nella vittoria sulla morte, che è una delle grandi questioni».

La mostra è stata realizzata in collaborazione con la Fundação Calouste Gulbenkian di Lisbona, dove sarà allestita dal 24 novembre al 6 marzo 2023. Proprio da Lisbona arriva la testa di una statuetta di Amenofi III di vetro, il cui colore blu intenso si deve al cobalto (XIV secolo a.C.). Da Torino invece provengono una statuetta votiva di Ahmose Nefertari (1292-1076 a.C.), una statua di faraone della XX dinastia (1186-1069 a.C.) e una cassetta porta ushabty in legno dipinto (1076-746 a.C.), mentre tra i vari prestiti del Louvre figura una sfinge di Nectanebo I (380-362 a.C.).

Lungo il percorso ci s’imbatte in opere via via più recenti: una tela di Claude Vignon, «Cléopâtre se donnant la mort» (1640-50), un arazzo della manifattura dei Gobelins del ’600 raffigurante la scena biblica di Mosè che affronta il faraone, un’opera di Mahmoud Mokhtar, prestata dal Centre Pompidou, «Arous el-Nil» (1929), e «Grey Area» di Fred Wilson del 1993. Tra gli oggetti più curiosi, la macchina da cucire «Nefertiti» fabbricata in Egitto negli anni Sessanta e una pubblicità del 1954 per la panciera guaina «Egyptian Queen» della marca Peter Pan.

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