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Stefano Luppi
Leggi i suoi articoli«Sarà il primo museo al mondo con all’interno una foresteria da 30 camere, in quelle che un tempo erano le celle dei monaci, a disposizione per ricercatori e docenti oltre che turisti», spiega Loris Borghi, rettore dell’Università di Parma (già preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia) e presidente del Centro Studi e Archivio della Comunicazione (www.csacparma.it). Lo Csac, fondato nel 1968 da Arturo Carlo Quintavalle e in seguito diretto da Gloria Bianchino (cfr. box qui sotto), dal 2007 ha sede nella Abbazia cistercense di Valserena, a pochi chilometri dalla città: la struttura, fino ad ora una sorta di magazzino di lusso per 12 milioni di pezzi suddivisi nelle sezioni di arte, fotografia, moda, progetto e spettacolo, da fine maggio è un museo a tutti gli effetti aperto al pubblico in maniera permanente (cfr. lo scorso numero, p. 2). La struttura è retta da un Consiglio direttivo nel quale figurano anche i due curatori dell’istituzione Francesca Zanella e Carlo Quintelli, affiancato da un comitato scientifico consultivo e da uno staff di nove addetti. Il nuovo museo, costituito intorno agli spazi della chiesa cistercense, della sala delle Colonne, della sala Ipogea e della Corte delle sculture dove sono collocate 600 opere, sarà anche dotato di un bookshop dove saranno in vendita i cataloghi delle 120 mostre organizzate dal 1969 a oggi.
Dottor Borghi, perché solo ora lo Csac apre al pubblico in questa abbazia?
Sono stato nominato rettore un anno fa e quando ho iniziato a rendermi conto dell’immenso patrimonio dell’Università detenuto dallo Csac, con 12 milioni di opere dal 1930 a oggi, ha chiamato il prorettore per l’edilizia Carlo Quintelli e abbiamo iniziato a lavorare a ritmi serrati. Tutta l’abbazia, un luogo magnifico, era stipata di opere all’inverosimile e piano piano abbiamo iniziato a liberare gli spazi ora a disposizione del pubblico.
Quali i costi dell’operazione?
Abbiamo messo al lavoro nella sede una decina di persone, gestite dal professor Quintelli, e il Cda dell’ateneo ha deliberato 1,5 milioni di euro di finanziamenti.
Come avete pensato la parte pubblica dello Csac?
Abbiamo pensato a un luogo, ancora sconosciuto per il pubblico, che lega una parte all’aperto dedicata alle sculture con le sale interne della chiesa cistercense, delle Colonne e Ipogea: qui verranno collocate le prime 600 opere che ogni anno o due cambieremo. Partiamo con 16 sezioni con lavori di Lucio Fontana, Giorgio Armani, Gianfranco Ferrè, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Man Ray, Luigi Ghirri, Gio Ponti, Pier Luigi Nervi, Armando Testa, Tullio Pericoli, Enrico Baj, Mario Ceroli, Enzo Mari, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Mario Schifano, Ettore Sottsass.
Non avete problemi di spazio con 12 milioni di pezzi conservati?
Certamente sì. Oggi il 50% della struttura è libera e a disposizione del pubblico, mentre il punto fondamentale sarà ricostruire un’ala dell’abbazia distrutta durante il periodo napoleonico. Qui realizzeremo i nuovi magazzini tecnologici, un centro didattico e spazi per la ricerca internazionale. Gli studiosi potranno poi dimorare nelle 30 ex celle dei monaci, oggi camere dotate di ogni confort che per tutto giugno saranno occupate da persone provenienti dall’Ecuador nell’ambito della nostra Summer School.
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