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Luana De Micco
Leggi i suoi articoliCinque anni fa, il 5 luglio 2011, moriva a Roma Cy Twombly. Ora, dal 30 novembre al 24 aprile, il Musée national d’art moderne del Centre Pompidou dedica una retrospettiva all’artista americano, la prima così completa, riunendo 140 opere, alcune inedite.
Per la prima volta sono allestiti insieme i tre grandi cicli, «Nine discourses on Commodus» (1963), «Fifty days at Iliam» (1977-78), prestato dal Philadelphia Museum of Art e mai esposto prima in Europa, e «The Coronation of Sesostris» (2000), della collezione Pinault.
Il curatore Jonas Storsve, conservatore al Cabinet d’art graphique del museo parigino, ha lavorato in collaborazione con la Cy Twombly Foundation e il suo presidente, Nicola Del Roscio, e con Alessandro Twombly, figlio dell’artista. Storsve ha raccontato che, quel 5 luglio 2011, aveva ricevuto una mail di Del Roscio in cui gli veniva trasmesso un «messaggio gentile» da parte dell’anziano artista, che stava morendo in un letto di ospedale: «È come se Twombly mi avesse dato la sua benedizione per fare questa mostra».
Che legami c’erano tra l’artista e il Centre Pompidou?
Storicamente c’è un impegno non indifferente del museo nei confronti dell’opera di Twombly. Una prima mostra si è tenuta nel 1988. Nel 2004 è stata accolta quella sui lavori su carta dell’Ermitage. C’è poi il mio coinvolgimento personale. Ho incontrato Cy Twombly nei primi anni 2000, ci vedevamo regolarmente, conosceva la mia passione per il suo lavoro. Nel 2005, avevo fatto acquisire al museo un dipinto del 1962, «Achilles Mourning the Death of Patroclus». E da anni avevo maturato la necessità di fare questa retrospettiva.
Perché non sono state previste altre tappe?
I collezionisti di Twombly sono gelosissimi delle loro opere. I musei non le prestano volentieri perché sono fragili. Un museo importante, di cui preferisco non fare il nome, mi ha avvertito sin dall’inizio che il prestito sarebbe stato valido per una sola tappa. Riunire le opere è stata la più grossa difficoltà in tre anni di lavori. L’aiuto di Nicola Del Roscio in certi casi è stato davvero prezioso.
L’opera di Twombly, né figurativa né astratta, è spesso definita inclassificabile. Qual è il suo punto di vista?
Personalmente ritengo che essa sia tra le creazioni più originali della seconda metà del XX secolo-primo XXI secolo. Twombly ha saputo riunire la tradizione americana dell’Espressionismo astratto alla cultura europea, cogliendo il meglio delle due e facendole proprie. Il risultato è un’opera unica, che non assomiglia a nessun’altra.
Perché Twombly è considerato più come un artista europeo che americano, al di là del fatto che scelse l’Italia come residenza abituale?
In effetti il riconoscimento in Europa è arrivato molto presto, mentre per gli Stati Uniti si deve aspettare la mostra del MoMA del ’94. Probabilmente c’è stato un tempo in cui per l’animo europeo era più facile identificarsi con l’opera di Twombly e apprezzarne tutta la complessità, mentre per gli americani si trattava appunto di un’opera troppo europea e diversa dalla produzione americana. Ma in questo riconoscimento tardivo ha sicuramente giocato un ruolo anche una certa invidia di artisti e galleristi americani nei confronti del collega che aveva preferito lasciare gli Stati Uniti e andare a vivere in un palazzo romano.

«Coronation Of Sesostris Part V» di Cy Twombly, © Pinault Collection, Foto Robert Mc Keever

Cy Twombly «Venus» © Cy Twombly Foundation, courtesy Archives Nicola Del Roscio © Mimmo Capone.

Cy Twombly, veduta d'insieme di «Nine discourses on Commodus» © Cy Twombly Foundation, Rome © FMGB Guggenheim Bilbao Museoa, 2016