«Ursus», nel Palazzo Assessorile di Cles dal 7 luglio al 3 novembre, è una mostra dedicata al rapporto tra uomo e orso curata da Silvia Spada con opere d’arte e reperti storici e scientifici. Il percorso oscilla tra realtà e immaginario, ricostruendo la figura del grosso animale che negli ultimi anni è salito alla ribalta delle cronache per la difficile convivenza con l’uomo.
Eppure il nostro è un rapporto atavico, come testimoniano reperti della preistoria provenienti dal Muse di Trento: una costola di orso del paleolitico ferita da una freccia (la più antica testimonianza italiana di caccia all’orso) e una collana del Neolitico dalle finalità probabilmente rituali.
La sezione storico-artistica si concentra sull’area del Trentino Alto Adige e del Tirolo. Si parte da inizio Cinquecento con una xilografia su pergamena del Theuerdank (pubblicato per la prima volta nel 1517), raffigurante un cavaliere che uccide un orso, e si giunge sino al Novecento con una scultura in legno di Fortunato Depero. E poi un dipinto del Seicento del pittore barocco Stephan Kessler, un’acquaforte di Max Klinger di fine Ottocento e una grafica pubblicitaria d’inizio Novecento di Franz J. Lenhart.
La mostra documenta anche l’iconografia dell’orso negli affreschi tre e quattrocenteschi dei numerosi castelli del territorio. Tra le riproduzioni esposte, quelle dei cicli di Torre dell’Aquila a Trento, realizzati in stile Gotico internazionale da Venceslao di Boemia, e quelli di Castel Roncolo a Bolzano, che raffigurano lo smembramento della carcassa di un orso secondo il diritto del carniere.
Una sezione è dedicata a san Romedio, il santo locale venerato per aver domato un orso. Un’altra sezione documenta la tradizione di ammaestrare gli orsi e farli esibire in pubblico (qui tra l’altro un manoscritto miniato d’inizio Cinquecento). Da segnalare infine le sezioni dedicate al carnevale e al teddy bear, l’orsacchiotto giocattolo simbolo di Cles comparso per la prima volta a inizio Novecento.