Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image

Giacometti allo specchio

Due mostre in apertura a ottobre propongono Alberto Giacometti a confronto con altri artisti

Luana De Micco

Leggi i suoi articoli

Esther Schlicht, curatrice della mostra tedesca, spiega che il gusto del pubblico e i prezzi d’asta in forte ascesa per Giacometti («L’homme au doigt», 1947, è stato venduto a 141 milioni di dollari nel 2015) hanno spinto a una riconsiderazione della «forza e profondità del suo lavoro». La Schlicht spera di rivelare ai visitatori «sorprendenti corrispondenze» tra i due artisti. «Ci sono aspetti similari nel modo di avvicinarsi al rapporto tra la figura e lo spazio o tra il tutto e le sue parti, tra il corpo e il frammento», spiega.
Se con Bruce Nauman (1941), che entrava nella prima maturità quando l’artista svizzero era prossimo alla scomparsa, l’individuazione di un rapporto richiede necessariamente un certo sforzo critico e intellettuale, tra Picasso (1881-1973) e Giacometti (1901-66), seppure nati a distanza di vent’anni l’uno dall’altro e con un diverso temperamento, nacque una lunga amicizia fatta di stima reciproca, ma anche di intensi scambi intellettuali.
La mostra parigina, con più di 200 opere in dialogo tra di loro, documenta visivamente per la prima volta questa amicizia, di cui non si sospettava ancora la forza, basandosi sullo studio inedito degli archivi della Fondation Giacometti. La sua direttice, Catherine Grenier, vi ha lavorato per più di due anni. Negli anni Trenta, spiega la studiosa, entrambi trovarono il modo per «smantellare e ricomporre il corpo e condivisero un approccio molto violento al rapporto tra uomo e donna e al tema dell’amore». Negli anni Quaranta la loro preoccupazione principale era «come tornare a una forma legata alla realtà senza tornare all’arte accademica».
Catherine Grenier, come nacque l’amicizia tra i due artisti?
Quando Giacometti arrivò in Francia, nel 1922, seguì una formazione classica presso l’accademia di Antoine Bourdelle, ma scoprì presto Picasso, che era già il più grande maestro della modernità. Si conobbero nel 1930, dopo essersi avvicinati al Surrealismo, e divennero amici. Si vedevano spesso, soprattutto tra il 1940 e il ’41 perché erano i soli a non aver lasciato Parigi all’inizio della guerra. Poi Giacometti partì, nel dicembre del ’41, ma al suo rientro, nel 1945, fu come se non si fossero mai lasciati.
Fino a quando restarono amici?
Fino al 1951 circa. Picasso si era trasferito nel sud della Francia, ma ad allontanarli furono soprattutto divergenze artistiche e intellettuali. Picasso era diventato l’artista ufficiale del partito comunista e Giacometti non condivideva questo impegno. Si sa anche che a un certo punto il noto gallerista Kahnweiler aveva pensato di prendere Giacometti con sé, e chiese il parere di Picasso. Questi si oppose. È evidente che aveva riconosciuto in Giacometti un grande artista.
Che cosa vi ha fatto pensare che era un legame molto forte a unirli?
Nei nostri archivi abbiamo trovato le agende su cui Giacometti annotava gli appuntamenti con Picasso. Dei loro incontri parlò spesso a sua madre. Abbiamo trascritto le 1500 lettere che scrisse ai genitori e che pubblicheremo il prossimo anno. Dopo la guerra, si vedevano tutti i giorni. Françoise Gilot, all’epoca moglie di Picasso, che ho incontrato a New York, mi ha raccontato che Picasso amava recarsi nel minuscolo atelier di Giacometti, forse perché gli ricordava la sua giovinezza bohemienne. Andava lì a mostrare i suoi disegni all’amico. Alcuni artisti hanno raccontato di aver visto Giacometti correggere Picasso mentre scolpiva. In pochi avrebbero osato farlo!
Che cosa accumunava questi due uomini così diversi?
Avevano tanti interessi comuni, nonostante la differenza di età. Lo stesso rapporto difficile con le donne, la vicinanza al partito comunista, l’emozione per la guerra di Spagna. Entrambi non esitavano a mettersi in discussione. Avevano anche amici comuni, come Michel Leiris, Joan MirÓ e André Masson. Nella mostra attuale documentiamo come entrambi fossero figli di artisti e avessero iniziato imparando le tecniche tradizionali, che avevano poi abbandonato per osare la via della modernità. Dopo la guerra, intoltre, discussero molto della questione del Realismo, essenziale per l’epoca.

Questa vicinanza li influenzò da un punto di vista artistico?Tra il Giacometti surrealista e il Picasso di Boisgeloup troviamo corrispondenze interessanti: la scomposizione e ricomposizione dei corpi, l’associazione di Eros e Thanatos, il rapporto con la musa-amante. Abbiamo ritrovato un centinaio di taccuini in cui Giacometti copiava le opere di Picasso, soprattutto quelle del 1932. Li abbiamo fatti restaurare e alcuni sono allestiti nella mostra. Si influenzarono anche sulla scelta dei temi. Dopo la guerra, per esempio, cominciarono entrambi a dedicarsi alla natura morta e a dipingere i paesaggi dalla finestra. Quando Giacometti realizzò «Il cane» e «Il gatto», Picasso eseguì la «La capra» e «Il gatto». Abbiamo trovato conferma che per il suo cane Giacometti non aveva preso come modello un animale randagio, bensì il bel levriero afghano posseduto da Picasso. Quando il visitatore vedrà la foto di quest’ultimo  con il suo cane, la somiglianza tra i due animali salterà subito agli occhi.

Luana De Micco, 21 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

Giacometti allo specchio | Luana De Micco

Giacometti allo specchio | Luana De Micco