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Lawrence Carroll al Museo Vincenzo Vela
- Ada Masoero
- 09 giugno 2017
- 00’minuti di lettura


Australiano, californiano, morandiano
Lawrence Carroll al Museo Vincenzo Vela
- Ada Masoero
- 09 giugno 2017
- 00’minuti di lettura
Quattro anni di lavoro congiunto con la direttrice del Museo Vincenzo Vela (e curatrice della mostra) Gianna A. Mina, e numerose residenze nell’affascinante casamuseo dello scultore ottocentesco, hanno consentito a Lawrence Carroll di realizzare al meglio la mostra «I have longed to move away. Lawrence Carroll, Opere/Works 1985-2017» (fino al 15 ottobre, catalogo 5 Continents), la sua prima in un museo svizzero. La sessantina di opere esposte, molte inedite, realizzate negli eremi dei suoi studi di Bolsena e Grotte di Castro e pensate in relazione agli spazi del museo, entrano in consonanza con le sculture di Vincenzo Vela (1820-1891), con le quali, pur nelle specificità dei linguaggi, come sottolinea la curatrice, condividono «la porosità dei materiali e la sottile modulazione delle superfici, in una pittura, come quella di Carroll, che si fa scultura, e in una scultura dalle forti qualità pittoriche, quale è quella di Vela».
Nato a Melbourne nel 1954, Carroll è cresciuto in California. Nel 1985 è a New York e di lì, sempre randagio, va nel resto del mondo (come suggerisce anche il titolo della mostra, tratto da un verso di Dylan Thomas), in cerca di solitudine e di introspezione. Le opere esposte vanno dagli esordi a oggi, toccando tutti gli snodi della sua ricerca, seppure con una prevalenza di lavori recenti (bellissimi i grandi dipinti di un azzurro polveroso e i lavori con fiori artificiali dai colori spenti, poetici omaggi a Giorgio Morandi). Variano dalle tele monumentali, tagliate e ricucite in una vera «archeologia della memoria», ai piccoli dipinti densi di energia, fino ai disegni, tutti scelti dall’artista per condurre lo spettatore a una silenziosa, lenta riflessione, perché, spiega, «uno degli aspetti più preziosi per me è il tempo: tempo per lasciar sedimentare le cose, aspettare, averle intorno a me».