Come sosteneva il critico americano Clement Greenberg nel 1943, le opere di Jackson Pollock sono «meno astratte di quanto sembrino». Ed è forse anche da un assunto come questo che nasce l’idea curatoriale di «The Figurative Pollock», mostra che si apre dal 2 ottobre al 22 gennaio nel nuovo edificio del Kunstmuseum. Pollock è da troppo tempo l’artista immortalato esclusivamente nella sfida con la sua tela e nel dripping che ne è il risultato, anche se non sono mancati i tentativi, più o meno riusciti, di decifrare elementi «parafigurativi» o che rimandassero a elementi reali anche in questa fase. In realtà, a partire dalla sua formazione con il pittore realista Thomas Hart Benton e dall’esempio rappresentato dai muralisti messicani Rivera, Orozco e Siqueiros, Pollock ha ripetutamente elaborato una nuova iconografia che è affiorata a più riprese nel corso della sua breve attività, anche nella sua parte finale post-dripping.
La mostra curata da Nina Zimmer, ex deputy director e responsabile del dipartimento di arte moderna del museo e ora a capo del Zentrum Paul Klee e del Kunstmuseum di Berna, propone una significativa selezione di un centinaio tra dipinti e opere su carta dell’artista americano compresi tra la metà degli anni Trenta e gli anni Cinquanta. L’intento è quello di riportare l’attenzione su un aspetto di Pollock troppo spesso tralasciato, a fronte di una preponderante immagine di pittura non solo astratta ma «d’azione», molto funzionale all’affermazione internazionale del primo movimento artistico totalmente non europeo. Le opere provengono da collezioni private o sono in prestito da musei europei, giapponesi, australiani e statunitensi, la metà circa dal Metropolitan Museum e dal Museum of Modern Art di New York. Il catalogo è a cura della stessa Zimmer e di Josef Helfenstein, neo-direttore del Kunstmuseum di Berna, ed è pubblicato da Prestel.