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Al suo terzo appuntamento, dopo quelli della «Madonna del Latte» di Marco d’Oggiono, dall’Ambrosiana, portata nel 2023 nel paese natale dell’artista, e del «Narciso» di Caravaggio di Palazzo Barberini esposto con grande successo lo scorso anno a Merate, il progetto culturale «La Grande Arte in Brianza», promosso dalla Fondazione Costruiamo il Futuro, presieduta da Maurizio Lupi, con le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, il Comune di Carate e (quest’anno) la Galleria Borghese di Roma, porta dal 17 ottobre al primo dicembre nella Villa Cusani Confalonieri di Carate Brianza un’opera magnifica ma non notissima di Tiziano, acquisita nel 1608 dal cardinal nipote Scipione Borghese, che la acquistò dal cardinale Sfondrati, qui esposta (nell’allestimento di Dario Curatolo) in una mostra che, com’è consueto in queste rassegne, è aperta gratuitamente. Ne parliamo con il curatore, Giovanni Morale, vicedirettore Gallerie d’Italia e curatore di questa mostra e dell’intero progetto.
Dottor Morale, perché avete scelto un Tiziano, che porta con sé interrogativi sul suo soggetto, interpretato così variamente dagli storici dell’arte?
Si è fatto per più ragioni: Tiziano, il «Principe de’ pittori», la dipinse, come ormai è unanimemente riconosciuto, nel 1565, nella sua maturità pienissima, ancorché non estrema (morì nel 1576), quando si avviava agli 80 anni. Non conosciamo l’esatta data di nascita del maestro, sebbene oggi si converga sul 1488, così come dibattuto è anche il soggetto del dipinto. Abbiamo deciso di seguire la titolazione classica, suggerita anche da Erwin Panofsky, e di interpretarla come «Venere che benda amore», con la dea che allaccia una benda sugli occhi di Amore/Eros, a cui due ancelle portano arco e faretra, mentre Anteros, non bendato, si appoggia sulla sua spalla e osserva la scena. Alle loro spalle, un magnifico, struggente tramonto cadorino sembra evocare il lento tramonto vissuto in quei decenni dalla Serenissima. È stato scelto perché si tratta di un dipinto esemplare di questa stagione della vita di Tiziano in cui il maestro abbandona la perfezione coloristica della giovinezza e adotta una tavolozza più essenziale, dominata da tonalità di marrone, rosso, giallo e bianco, mentre il tratto si libera dal rigore descrittivo per assumere una fluidità di pennellata che, per certi aspetti, prefigura una sensibilità quasi impressionista. Questa opera è esemplare anche per raccontare le vicende di Venezia in quel giro d’anni.
In mostra è messo in evidenza questo aspetto?
Certamente. Abbiamo voluto fare di questa mostra un’operazione di più vasta portata, un’occasione per conoscere la vicenda di Venezia in quel ’500 che Tiziano ha attraversato per intero. Quando infatti, alla fine del ’400, giunse a Venezia dal Cadore, la Serenissima era nel pieno della sua gloria politica, commerciale e artistica: in città c’è la grande bottega dei Bellini, c’è Andrea Mantegna, c’è Giorgione, ci sarà Dürer, vi passa anche Leonardo, e c’è il grande stampatore Aldo Manuzio. E la veduta del 1500 di Jacopo de’ Barbari della città vista a volo d’uccello, quasi fosse ripresa da un drone, esposta in mostra, dà la misura della modernità di quella cultura. Nella seconda metà del ’500, invece, Venezia inizia a perdere la sua centralità negli equilibri politici e nei commerci, che si spostano nel Nord Europa, con la Lega Anseatica e la Compagnia delle Indie. E, sebbene nel frattempo Tiziano fosse diventato l’artista prediletto di Carlo V e poi di Filippo II, la malinconia che permea il dipinto si fa interprete di una consapevolezza storica e personale, accentuata dalla riflessione sulla vecchiaia e sul trascorrere del tempo.
Il taglio della mostra è quindi didattico, e alla contemplazione della bellezza di quest’opera si aggiunge un’operazione di tipo storico.
Questo aspetto ci sembrava fondamentale. Anche il catalogo (Paolo Cattaneo editore) è pensato in quest’ottica, tanto che sono state inserite tre «linee del tempo», sulla vita e opere di Tiziano, sugli eventi storici del periodo e sugli eventi artistici e culturali. E lo stesso accade nel video di presentazione. Infine tengo a evidenziare il grande concorso della collettività: oltre all’editore, che ha donato il suo lavoro, più di cento volontari, molti giovani, si sono già offerti per collaborare, a conferma della partecipazione del territorio all’evento.