Una riflessione corale attraverso le immagini, su temi chiave della contemporaneità, come la contaminazione della realtà, le relazioni umane, la politica e il rapporto con l’ambiente che ci ospita. Sono questi in estrema sintesi i contenuti dei PhMuseum Days, festival internazionale di fotografia che analizza le infinite sfaccettature del mondo dell’immagine. Giunto alla quarta edizione, la manifestazione si terrà dal 12 al 15 settembre allo Spazio Bianco, padiglione di 1.600 metri quadrati dove sono previste una decina di mostre e numerose presentazioni. Quest’anno il tema ruota intorno al termine «closer»: «Lo scorso anno, dice Giuseppe Oliverio, direttore di PhMuseum, ci siamo dedicati al rapporto tra gli esseri umani e la tecnologia con l’intelligenza artificiale, mentre quest’anno ci concentriamo sul punto di vista degli umani».
L’esperienza della cura per persone e piante è al centro di «Trajectories» della brasiliana Beatriz de Souza Lima (1998), mentre in «Disruptions» la fotografa palestinese Taysir Batniji (1966) ci porta alla tragica esperienza della guerra con immagini provenienti da Gaza, precedenti all’attuale, terribile, conflitto (si tratta di screenshot di videochiamate alla famiglia effettuate nel 2015-17). In «The Studio» l’indo francese Tara Laure Claire Sood (1995) utilizza la fotografia per analizzare rappresentazioni culturali e vecchi studi fotografici dell’India prima della diffusione delle fotocamere; ancora in India, ci riporta Kush Kukreja (1994) che in «Only in Good Taste» riflettendo sul fiume altamente inquinato Yamuna a Delhi. Utu-Tuuli Jussila (1985) in «Härmä / Hoar» raccoglie immagini del giardino della nonna 94enne analizzando temi come l’invecchiamento, la solitudine, il ruolo della sorveglianza, mentre si concentra sulle attuali conseguenze del regime comunista che vigeva in Albania l’italiana Camilla De Maffei (1981) con «Grande Padre». «The Skeptics - Relics of a Technological Goddess» di David De Beyter (1985) si dedica alla post verità di un gruppo di ufologi, e in «Octopus’s Diary» la polacca Matylda Niżegorodcew (2001) documenta il suo esperimento di vivere 48 ore la vita di altri umani. Previste anche mostre in città tra cui la collettiva «Closer» al cortile dell’Archiginnasio e la predisposizione di alcune bacheche in via dell’Abbadia con «Existential Boner» composta da lavori della svizzera Mahalia Taje Giotto (1992) dedicati alle ossessioni del corpo e alla sua identità sessuale. Fino al 15 settembre, infine, è visibile al PhMuseum Lab, in anteprima della presente edizione del festival, «Anatomy of an Oyster»: la spagnola Rita Puig-Serra (1985) propone un viaggio visivo nel suo drammatico passato famigliare.