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«Golpe, Redacciones territoriales», 2023, Bienal Saco1.1

Courtesy of Saco Bienal de Arte Contemporáneo

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«Golpe, Redacciones territoriales», 2023, Bienal Saco1.1

Courtesy of Saco Bienal de Arte Contemporáneo

Saco: ecosistemi oscuri nel deserto di Atacama

Alla 12ma edizione della biennale cilena oltre 50 artisti da 20 Paesi di cinque continenti

Matteo Bergamini

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Il Festival di Arte Contemporanea Saco, nato nel 2012 come iniziativa per sopperire alla mancanza di istituzioni dedicate alla cultura visiva in uno dei territori più complessi del mondo, Antofagasta e il Deserto di Atacama, nel nord del Cile, dal 2020 si è trasformato in Biennale e quest’anno apre la sua 12ma edizione dal 24 giugno al 14 settembre, con il titolo «Ecosistemas Oscuros». Scrive la direttrice Dagmara Wyskiel, che è anche fondatrice e presidente del Collettivo Se Vende Plataforma Móvil de Arte Contemporáneo, associazione che si occupa di Saco dalle sue origini: «Quasi duecento anni fa Charles Darwin affermò che ad Atacama non poteva esistere alcun tipo di vita. Il naturalista tedesco Rudolph Philippi, stabilitosi in Cile, successivamente confermò questa affermazione, condannando le interminabili pianure rocciose di questa parte di mondo al loro destino di miniere (l’area detiene, infatti, i più importanti giacimenti di rame sulla Terra, Ndr). Per diverse generazioni di scienziati, la fiducia nei propri sensi fu una trappola, pensando che ciò che osservavano fosse “tutto”, e che l’esistenza di qualcosa di nascosto sotto la superficie fosse semplicemente impossibile». 

È proprio a partire dalla vita in un’altra dimensione che si sviluppa questa edizione della Biennale, diffusa in diversi spazi nella città di Antofagasta, come l’ex mulino attivo fino al 2016 e oggi in via di riconversione grazie al Servicio Nacional del Patrimonio Cultural, legato al Ministero della Cultura, delle Arti e del Patrimonio cileno, oltre al Molo storico della città e alla Fundación Minera Escondida, che si trova anche a San Pedro de Atacama, la città porta per accedere ai paesaggi lunari del deserto più secco del mondo, che a sua volta ospiterà parte della Biennale. «La storia della scienza ci ha dimostrato che cerchiamo solo dove ci aspettiamo di trovare qualcosa. Potrebbe sembrare ragionevole, ma finisce con l’essere molto limitante, perché gli ecosistemi oscuri abitano zone inaccessibili e inospitali, sia nella nostra mente sia nel pianeta», continua Wyskiel nella sua introduzione, rimarcando come siano l’orografia, la morfologia, lo spazio e la vita agli «estremi» il tema generale di ogni edizione di Saco, esattamente per il suo svolgersi «alla fine del mondo». E per questo, aggiungiamo noi, fortemente identitaria, marcatamente connessa al proprio habitat. 

A comporre il mosaico delle partecipazioni, oltre 50 artisti da 20 Paesi di cinque continenti: i cileni Gonzalo Aguirre, Isidora Correa, Coco González Lohse, Catalina Reyes, Cristián Tàpies, Felipe Ulloa, Nelson Vargas, Diego Véliz; Joaquín Fargas, Alejandra Montiel, Silvina Torviso, Giovana Zuccarino (Argentina); Bianca Hisse, Michel Masson, Ursula Tautz (Brasile); Catherin Schöberl e Sarvenaz Mostofey (Germania); Katarzyna Tretyn (Polonia); Mustafa Avcı e Ahmet Rüstem Ekici & Hakan Sorar (Turchia), solo per citarne alcuni. Dall’Italia invece ci sono Carlo de Meo (1966), recente protagonista di una retrospettiva alla Fondazione VOLUME!, a Roma, e Natália Trejbalová (1989), nata in Slovacchia ma di base a Milano, la cui pratica ispirata alla fantascienza e alla ricerca scientifica comprende cinema, scultura e disegno. 

A questi si aggiungeranno gli artisti provenienti dalla call internazionale e i partecipanti della residenza Isla, luogo progettato dalla Corporación Cultural Saco, che fin dalle sue origini ha lanciato il suo manifesto, «Circolarità come principio»: «Non trasportiamo oggetti, non paghiamo dogane né assicurazioni. Generiamo esperienze. Le opere sono sostituibili, l’artista no. L’unica cosa indispensabile affinché nasca una nuova opera è la sua presenza fisica e la sua mente in connessione con il contesto. L’arte nasce e scompare dove si trova il pubblico. In base a questa logica, una volta concluse le esposizioni della biennale, le opere vengono smontate e trasformate in elementi riutilizzabili, successivamente impiegati in altri allestimenti museografici, come arredi di laboratorio o del centro residenze, o donati a un’istituzione educativa, centro culturale, oasi urbana o progetto di riutilizzo creativo». «Scavi» che non sono né meno preziosi, né meno urgenti di quelli minerari, ma che contrariamente a questi ultimi rappresentano un’infinità varietà di ricchezze rinnovabili: l’incontro, il dialogo, la curiosità.

Matteo Bergamini, 22 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Saco: ecosistemi oscuri nel deserto di Atacama | Matteo Bergamini

Saco: ecosistemi oscuri nel deserto di Atacama | Matteo Bergamini