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Elisabetta Di Maggio, «Spine», 2012

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Elisabetta Di Maggio, «Spine», 2012

Risonanze nella notte inquieta della Gam di Torino

Quattro mostre e un intruso per raccontare cinque secoli di realtà come visione di mondi che si formano e si dissolvono

Una ciotola di latte. Al suo centro un frammento di gelatina verde diventa un paesaggio, un microcosmo. Luce, profondità e orizzonte si fondono in un’immagine filosofica della realtà: ogni visione è anche costruzione. Nelle fotografie di Lothar Baumgarten ogni dettaglio è il riflesso di un mondo possibile, l’eco di un incontro, come quelle che legano le quattro mostre della grande partitura espositiva «Terza Risonanza. Incanto, sogno, inquietudine» alla Gam fino all’1 marzo. Nell’omaggio a Baumgarten, allestito nella Videoteca e curato da Chiara Bertola, la realtà trova forma nel linguaggio. Le fotografie scattate durante la lunga permanenza dell’artista tra gli Yanomami in Venezuela alla fine degli anni Settanta raccontano la natura come costruzione simbolica e non come semplice sfondo. Ogni immagine è un sistema di segni, una traduzione del mondo. 

Nelle opere di Elisabetta Di Maggio invece, seconda risonanza della partitura, il segno si addensa in trame minuziose, portando alla luce il ritmo nascosto che lega il tempo alla materia. Fogli di carta velina incisi a bisturi, mappe urbane intagliate nel sapone, mosaici di vetro e cera, porcellane sottili come pelle: ogni opera è un atto di equilibrio tra cura e ferita, controllo e abbandono. Il percorso, articolato in sei stanze, si apre e si chiude con l’«Annunciazione» del 2025 (due ali di libellula in rame ossidato) e «Desiderale» (2006), un cielo stellato inciso su pellicola cinematografica. Tutto accade tra questi due poli, apparizione e dissolvenza: la materia prende forma, la materia si dissolve.

Linda Fregni Nagler, terza risonanza, interroga invece la sostanza delle immagini; la sua antologica curata da Cecilia Canziani, è un’indagine sulla fotografia come spazio di memoria, oblio e riapparizione. Dal monumentale «The Hidden Mother» (997 ritratti di bambini che nascondono le madri avvolte nei drappi) alla serie inedita «Vater», l’artista riflette sull’ambiguità del visibile: fotografie d’archivio, disegni e lastre per lanterna magica compongono un atlante poetico in cui ogni immagine è testimonianza e invenzione insieme. 

A riunire e amplificare i percorsi individuali è infine la quarta risonanza «Notti. Cinque secoli di stelle, sogni, pleniluni», curata da Fabio Cafagna ed Elena Volpato. Cento opere dal Seicento alla contemporaneità (da Galileo a Goya, da Canova a Pistoletto) raccontano la notte come territorio della visione e della conoscenza. Dal Seicento alla contemporaneità, la notte è un laboratorio per artisti e scienziati, il luogo in cui la luce non scompare ma si trasforma, rivelando l’intimità delle cose e il loro mistero. L’allestimento si dipana tra disegni astronomici e pitture a lume di candela, incisioni e fotografie, fino alle visioni cosmiche di Paolini, Pistoletto e Ruff, dove l’oscurità non è assenza, ma condizione del vedere. 

Una partitura disturbata, come sempre, da un «Intruso», che per questa edizione è il giovane Davide Sgambaro che, con due interventi site specific e una performance sospesi tra ironia e malinconia, gioca con l’immaginario giovanile per svelare la fragilità e la resistenza di una generazione sospesa tra stupore e disincanto.

Gam-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, To, mar-dom 10-18, gamtorino.it, «Terza risonanza. Incanto, sogno, inquietudine» fino all’1 marzo

Johann Carl Loth (attribuito a), «Allegoria dell’Astronomia», 1682-84 ca, Collezione Koelliker. Courtesy Bkv Fine Art

Maria Clara Eimmart, Raffigurazioni di fenomeni celesti - Fase lunare osservata il 23 aprile 1693, Museo della Specola, Bologna. Photo © Marco Pintacorona

Jenny Dogliani, 22 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Risonanze nella notte inquieta della Gam di Torino | Jenny Dogliani

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