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Dal 20 novembre al 7 marzo 2026 la Fondazione Ica Milano, diretta da Alberto Salvadori, presenta due nuovi progetti espositivi di cui sono protagoniste Marina Rheingantz (Araraquara, Brasile, 1983) e Anastasia Sosunova (Ignalina, Lituania, 1993, vive a Vilnius), due artiste che lavorano con media diversi (la prima con la pittura; la seconda servendosi di artefatti culturali contemporanei) attingendo però entrambe al bacino consolatorio della memoria, come è sempre più frequente in questi nostri anni non solo drammatici ma anche sfuggenti, liquidi, segnati da trasformazioni inafferrabili perché troppo rapide e profondamente destabilizzanti.
Nel raccontarle ci facciamo guidare da Alberto Salvadori, anche curatore della prima mostra, intitolata «Rodamoinho» (turbinio, in portoghese), che si dipana tra il piano terreno e il primo piano di Fondazione Ica, dove vanno in scena i lavori pittorici e tessili di Marina Rheingantz: «La sua, ci dice, è una pittura astratta, in cui si conservano però tracce di realtà. Suggerisce infatti la presenza, sotto alla superficie, di qualcosa di animato. Lei è nata e cresciuta in una zona che era ricoperta dalla meravigliosa Foresta atlantica (una foresta tropicale che è stata spazzata via dalle colture intensive) e che ora è diventata quasi desertica, con poche tracce di vegetazione dalle cromie diverse. E nella sua opera, così legata a una necessità personale, si avverte un movimento interno, una forza nascosta, una sorta di mormorio che rinvia anche a quella realtà non più esistente».
Quattro delle stanze del piano superiore sono state da lei trasformate in altrettante installazioni rivestite di un tessuto jacquard che ha fatto realizzare in Francia, dove trovano posto alcuni suoi dipinti: «Proprio come la sua pittura, continua Salvadori, questo tessuto mostra con evidenza una trama e un ordito, che diventano un intreccio “mobile”, qualcosa che produce un insieme di altre possibilità, oltre alla pittura». In mostra, anche un gigantesco arazzo realizzato, come tutti gli altri lavori esposti qui, appositamente per questo progetto. Ma c’è anche un piccolo, raro (per questa artista abituata a lavorare nelle grandi e medie dimensioni) acquarello che «porta in sé tutta la forza e la delicatezza della sua pittura».
Diversa la «temperatura» della mostra «Crossover» (curata da Chiara Nuzzi per la Project Room) della giovane artista lituana Anastasia Sosunova, che nella sua pratica combina video, installazione, grafica e scultura e che, ci spiega Salvadori, «porta dentro di sé interrogativi forti a livello identitario. Si affida perciò all’antropologia, all’etnografia, alla geografia, alla storia, per lavorare su elementi che appartengano alla memoria e all’identità. È cresciuta, del resto, in una realtà come quella baltica dove il tasso di scolarizzazione è altissimo da generazioni, dove esiste una forte consapevolezza identitaria ma non nazionalista e dove, dopo la dittatura sovietica, ora si vive alla mercé di un’instabilità geopolitica che potrebbe cancellare il Paese in un attimo. C’è, in questi giovani, una necessità poetica di ricorrere a tradizioni e oggetti anche banali ma che facevano parte di un tessuto socioculturale sempre più labile. Lei non fa eccezione: rielabora perciò queste storie in cui ciò che a noi può apparire insignificante diventa per lei imprescindibile. Si tratta di affondi culturali con riferimenti per lei (e per tutti loro) fortissimi, come la bottiglietta di “Sprite”, che lì arrivò solo negli anni Novanta e che assume ora lo status di “reliquia”».
Marina Rheingantz, «Maritaca», 2025. Photo: Eduardo Ortega