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C’è tempo fino al 14 ottobre per vedere, alla Pinacoteca Ambrosiana, la mostra «Pietro Terzini. Are you in love? No I’m in Milano», un progetto «a (non) cura» (come recita con autoironia la comunicazione) di Antonello Grimaldi, segretario generale della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, e dell’artista stesso. Perché «a (non) cura»? Perché, risponde Antonello Grimaldi, «Pietro Terzini non ha bisogno di curatori», essendo il suo linguaggio aperto a tutti ed essendo, ai suoi occhi, l’interpretazione di ogni visitatore parte integrante dell’opera stessa.
Nella Sala ipogea del Foro romano, la mostra esibisce 11 lavori su carta, sei neon e tre «specchi» realizzati con Cassina: lavori in cui la parola gioca un ruolo preminente ma in cui non mancano gli omaggi visivi a simboli di Milano come la «Madonnina» del Duomo o a opere iconiche dell’Ambrosiana stessa (la prima Biblioteca aperta al pubblico in Europa e il Museo più antico di Milano), come la celeberrima «Canestra di frutta» di Caravaggio, uno dei capolavori acquisiti dal fondatore, il cardinale Federico Borromeo (1564-1631).
«I temi affrontati lungo il percorso espositivo, spiega il (non)curatore Antonello Grimaldi, spaziano dall’amore alla realizzazione personale, dalla tensione tra materialità e spiritualità, fino al nodo centrale dell’intera mostra: il giudizio degli altri. Attraverso frasi dirette, ironiche e provocatorie, l’artista invita il pubblico a interrogarsi su quanto peso abbia l’opinione altrui nella costruzione della propria identità, e a rivendicare la libertà di essere sé stessi».
Curioso il titolo, che cita una canzone ben nota ai baby-boomer, essendo un successo del 1974 di Memo Remigi, ma non così nota, si suppone, ai giovani come Terzini, che è nato a Lodi nel 1990.
Nel testo del brano «Innamorati a Milano» il cantautore si lamentava della difficoltà di innamorarsi (Sapessi com’è strano/sentirsi innamorati/a Milano) e di darsi appuntamento in una città allora grigia, nebbiosa, un po’ triste e sempre di corsa come Milano. Poiché però Milano, nel frattempo, ha cambiato pelle ed è diventata la capitale italiana della moda, Pietro Terzini (architetto di formazione, che per molti anni, prima di dedicarsi all’arte, ha lavorato nel settore del design e della moda) ha scelto come supporto per molti dei suoi lavori i sacchetti dei brand più famosi, fondendo (lui che è anche laureato in marketing alla Bocconi) estetica, consumo, gesto creativo ed economia circolare, in un gesto che si fa anche critica sociale e culturale. Così, lasciando ancora la parola al curatore, «le opere di Terzini, che combinano testo e immagine, possono essere considerate come una forma di haiku visivo, in quanto: catturano un momento o un’emozione: perché esprimono un pensiero o un’emozione attraverso la combinazione di testo e immagine. Utilizzano un linguaggio conciso: perché sono caratterizzate da un linguaggio breve e diretto, simile allo stile degli haiku. Esplorano temi universali come l’amore, la condizione umana e la società contemporanea, simili ai temi trattati negli haiku».

Una veduta della mostra «Pietro Terzini. Are you in love? No I’m in Milano» alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Photo: Melania Dalle Grave. Dsl-Studio