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Jasper Van Blade, «Ritratto di Paolo Ventura»

© Jasper Van Blade

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Jasper Van Blade, «Ritratto di Paolo Ventura»

© Jasper Van Blade

Paolo Ventura: «La fotografia mi è servita a raffigurare i miei mondi inesistenti»

Il fotografo milanese si racconta in occasione di una mostra in corso a Modena: «Ho un po’ di ossessioni, temi che mi trascino dai tempi della scuola: Prima e Seconda guerra mondiale, scritte, macchie sui muri, case con forme particolari, costumi e persone, come suore, preti, carabinieri, clown, giocolieri. M’interessa anche chi inciampa, ex voto, diari e pure chi si macchia con il sugo»

«L’inverno scorso, spiega il fotografo Paolo Ventura, ho ritrovato una vecchia scatola che pensavo di avere perduto. Non l’avevo più aperta da quando, nel 2010, mi trasferii da New York ad Anghiari (Arezzo): conteneva molti negativi dei miei primi lavori, esperimenti e variazioni delle centinaia di immagini prodotte in quegli anni americani, soprattutto per i progetti “War souvenir” e “Winter stories”, oltre ad altri poi abbandonati». 

L’artista (Milano,1968) è protagonista fino all’8 febbraioa Modena della mostra «L’oca gigante e altre meraviglie», proposta da Fondazione AGO a Palazzo Santa Margherita. Nel percorso, oltre alle serie citate, anche un’altra decina di lavori tra cui «L’Automa», «Morte e risurrezione #2», «Collage Eclipse», «Grazia ricevuta». Sull’appuntamento modenese e sulla poetica della sua produzione Ventura risponde ad alcune domande di «Il Giornale dell’Arte».

 

 

Paolo Ventura, «Archivio ritrovato #48», 2005-2007 (2025), stampa inkjet, 41x52 cm © Paolo Ventura

Partiamo dalla mostra aperta a Modena,  con trenta inediti, organizzata da Fondazione AGO e curata da lei insieme a Chiara Dall’Olio e Francesca Fontana. Com’è concepita?
Se devo essere onesto l’idea della mostra nasce dalla mia collaboratrice Chiara Fossati, che ne ha avuto l’intuizione mentre archiviava i miei materiali realizzati negli Stati Uniti, vecchi di vent’anni. Erano opere mai pubblicate, una sorta di scarti, lavori iniziati  e mai terminati, perlopiù realizzati nel 2005-2007. Intorno a ciò, con le curatrici, abbiamo costruito «L’oca gigante e altre meraviglie» con al centro la costruzione di una grande oca che ci piaceva molto. È anche presente il nucleo «Grazia ricevuta», realizzato un lustro fa e poi i miei oggetti inutili, oltre a tre sculture tridimensionali di carta composte ritagliando fotografie.

Le sue immagini, comprese quelle esposte a Modena, viaggiano sul confine sottile tra verosimile e fantastico, con vere e proprie «costruzioni», come diorami, poi fotografati. Può dirci come arriva, dal punti di vista pratico e intellettuale, a tale produzione?
La fotografia a me non ha mai interessato per la funzione più diffusa nella sua storia, ossia la rappresentazione della realtà, ma l’ho sempre vista come utile a rappresentare i miei mondi, che non esistevano. Insomma, volevo costruire quel che poi volevo raccontare, creando ambientazioni fuori dal tempo passato e presente. Penso anche che le opere, come quella dell’Oca e le altre realizzate a New York, siano un po’ ingenue, ma c’è una ricerca di realismo, che in seguito ho abbandonato, perché amo costruire questi mondi immaginari in un tempo sospeso.

Quali sono i temi ricorrenti nelle sue immagini?
Ho un po’ di ossessioni, temi che mi trascino dai tempi della scuola: Prima e Seconda guerra mondiale, scritte sui muri, macchie sui muri, certe case con forme particolari, la mia idea di cesura tra campagna e città, costumi e persone, come suore, preti, carabinieri, clown, giocolieri. Sono interessato anche a chi inciampa, ex voto, diari, pure chi si macchia con il sugo.

Che ruolo ha Modena nelle foto citate? 
Nel mio progetto «War souvenir» (2005) avevo ambientato tutte le scene in un periodo preciso della Seconda guerra mondiale e alcuni li ambientai a Modena, città che conoscevo pochissimo, ma che per me era perfetta, essendo tra pianura e montagna, con poche persone, nebbiosa,  con i portici, dal nome piacevole.

 

Rolando Paolo Guerzoni, veduta dell’allestimento della mostra «L’oca gigante e altre meraviglie», Modena, Museo della Figurina, settembre 2025 © Paolo Ventura. Foto © Rolando Paolo Guerzoni

Il suo percorso, dopo l’Accademia di Belle Arti di Brera, poi interrotta, si svolge in primis nell’ambito della moda, fino alla scelta di abbandonare il «sistema» per andare a New York da suo fratello. Può parlarci nel suo lavoro nella moda?
Iniziai appunto dopo avere abbandonato l’Accademia, perché mi pareva di perdere tempo, e la stessa sensazione l’avevano gli insegnanti. A fine anni ’80 iniziai per caso nel mondo della moda, da autodidatta, forse con un po’ di talento: sono rimasto felicemente intrappolato per un decennio, anni divertenti e ben pagati. In quel periodo peraltro presi confidenza con la costruzione delle immagini, visto che all’epoca le foto di moda erano molto «costruite» e io le modelle le spostavo quasi fossero manichini: concettualmente l’operazione simile l’ho fatta con la costruzione dei miei diorami, visto che in entrambi i casi si dà vita a qualcosa che prima non esisteva.

Negli anni americani che cosa scatta?
Arrivo da mio fratello con il nuovo millennio, nel 2003, e lì riparto da zero: non avevo più soldi e a 35 anni ho ricominciato perché volevo fare l’artista in una città facile e complessa al tempo stesso. Allora iniziai a costruire questi diorami, per due anni. Nel frattempo la mia fidanzata, oggi mia moglie, mi manteneva completamente. Fino a che la photoeditor del «New Yorker», Elisabeth Biondi, mi aprì alla carriera autoriale pubblicando il mio primo lavoro, cui poi sono seguiti gli altri a partire da «Winter Stories» del 2007-09.

Ora quali mostre ha in programma?
A novembre, a Parigi, alla Fondation des Artistes / Rotonde Balzac (dal 5 al 28 novembre, progetto commissionato da Photo Days Paris) presento una decina di immagini di architetture. Paesaggi urbani francesi, un tema di cui mi occupo da 3-4 anni come si può vedere ad esempio dal libro Milano/proiezioni astratte (Corraini, 160 pp., Mantova 2024, € 42, Ndr). Sto anche preparando un’ampia esposizione a Milano, ma di questa non posso dire ancora nulla.

Paolo Ventura, «PBA», 2022-25, dalla serie «I Ginestra», tecnica mista e collage. © Paolo Ventura

Stefano Luppi, 15 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Paolo Ventura: «La fotografia mi è servita a raffigurare i miei mondi inesistenti» | Stefano Luppi

Paolo Ventura: «La fotografia mi è servita a raffigurare i miei mondi inesistenti» | Stefano Luppi