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Bernard van Orley e Willem e Jan Dermoyen, «Irruzione delle salmerie imperiali nel campo di battaglia e resa dei picchieri svizzeri dell’esercito francese». 1528-31 ca, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

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Bernard van Orley e Willem e Jan Dermoyen, «Irruzione delle salmerie imperiali nel campo di battaglia e resa dei picchieri svizzeri dell’esercito francese». 1528-31 ca, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

Le due ore che sconvolsero Pavia (e l’Europa)

Per i 500 anni della Battaglia in cui Carlo V sconfisse Francesco I, il Castello Visconteo ripercorre la straordinaria stagione artistica che precedette lo scontro

Durò due ore soltanto la Battaglia di Pavia, ma in quelle due ore l’assetto geopolitico dell’Europa cambiò radicalmente: era il 24 febbraio 1525 e le truppe imperiali di Carlo V sconfissero sanguinosamente, grazie agli archibugi, l’esercito di Francesco I di Francia e la sua possente cavalleria. Quell’anno segnò una profonda cesura nella storia occidentale ma anche l’inizio del declino di Pavia, che sin dal tempo dei Visconti (che nel 1359 la conquistarono, eleggendola a loro capitale), e poi soprattutto al tempo degli Sforza, era stata un crocevia e un laboratorio della migliore arte del tempo.

La mostra «Pavia 1525: le arti nel Rinascimento e gli arazzi della Battaglia», organizzata dai Musei Civici di Pavia e dal Comitato promotore del Cinquecentenario della Battaglia di Pavia con il sostegno di Intesa Sanpaolo, Fondazione Cariplo e Fondazione Bracco (che ha realizzato illuminanti indagini diagnostiche), e presentata al Castello Visconteo di Pavia dal 19 settembre all’11 gennaio 2026, ripercorre la stagione luminosa che precedette lo scontro, ricostruendone lo splendore attraverso dipinti, disegni, stampe, sculture, codici miniati, cinquecentine e preziosi esempi d’arte decorativa giunti qui da importanti collezioni pubbliche e private italiane e straniere (Royal Collection di Windsor, Victoria & Albert Museum di Londra, Musée d’art et d’histoire di Ginevra e altri), riuniti nella prima sezione della mostra, che nella seconda parte presenta la parata spettacolare dei sette giganteschi arazzi (1528-31) del  Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, tessuti nella manifattura fiamminga di Jan e Willem Dermoyen su disegno di Bernard van Orley, che celebrano la vittoria, a Pavia, di Carlo V su Francesco I. 

Curata da Francesco Frangi, Pietro Cesare Marani, Mauro Natale, Laura Aldovini e, per la sezione degli arazzi, da Carmine Romano e Mario Epifani, con Annalisa Zanni a presiedere un altrettanto autorevole comitato scientifico, la mostra (catalogo Dario Cimorelli) ricompone la stagione che tra Quattrocento e Cinquecento vide convergere a Pavia figure come Vincenzo Foppa, Ambrogio Bergognone, Perugino, Leonardo da Vinci, Bramante e Francesco di Giorgio Martini.

Ad aprire il percorso è Donato de’ Bardi, pittore attivo soprattutto in Liguria che tuttavia, nella grande «Crocifissione» di Savona, si firma orgogliosamente «Papiensis», pavese, e che con la sua pittura anticipa i modi di Foppa e Bergognone. Il percorso prosegue poi secondo le tre linee direttrici del cantiere della Certosa, di quello della cattedrale e delle botteghe di artisti di prim’ordine fiorite nella città.

Come spiega a «Il Giornale dell’Arte» Laura Aldovini, direttore del Musei Civici di Pavia, in mostra sono stati ricomposti due polittici smembrati di fine ’400 e inizio ’500: «Quello di Bergognone, riunito prima d’ora solo nel 1958 da Roberto Longhi nella mostra di Palazzo Reale a Milano “Arte lombarda dai Visconti agli Sforza”, che è diviso tra due diversi polittici della Certosa e una collezione privata, e (parzialmente) quello di Perugino, di cui abbiamo potuto accostare il “Dio Padre” della Certosa e l’“Annunciazione” ora a Ginevra. La Certosa convocò infatti in città i migliori artisti del tempo. Nel 1490, chiamato per un consulto sul progetto della cattedrale, che i pavesi volevano “più bella di Santa Sofia di Costantinopoli”, era arrivato anche Leonardo, di cui presentiamo cinque disegni, tre dei quali giunti dall’Ambrosiana e due dalle collezioni reali di Windsor, “ricomponendo” tra l’altro il foglio (dell’Ambrosiana) da cui fu ritagliato il cavallo ispirato al “Regisole” (statua equestre tardo antica, perduta, che si trovava a Pavia, Ndr) che è invece a Windsor».

Non solo Leonardo ma anche Bramante e Francesco di Giorgio Martini giunsero in città per la cattedrale e la loro presenza fu decisiva per la fioritura delle arti: «In mostra ci sarà l’“Incisione Prevedari”, su disegno di Bramante, accostata a marmi e sculture lignee che ne riprendono dei dettagli, oltre al monumentale modello ligneo della cattedrale, conservato proprio nel Castello, una delle testimonianze più alte della carpenteria rinascimentale, insieme al coro ligneo proveniente da San Marino, restaurato e ricostruito per l’occasione. Grande attenzione è dedicata alla scultura lignea, che a Pavia vedeva attive le botteghe di artefici come i De Donati (c’è il “Presepe di Trognano”, a loro attribuito, dai Musei del Castello Sforzesco di Milano) e di Giovan Angelo Del Maino, di cui abbiamo, tra l’altro, l’altarolo dal Victoria & Albert Museum e il toccante “Compianto” di Gambolò, con cui si chiude teatralmente la mostra». Nella seconda parte dell’esposizione protagonisti sono gli arazzi di Capodimonte, con le tumultuose scene della Battaglia: «Li abbiamo esposti nella sequenza suggerita nel 2023 da Cecilia Paredes, conclude Laura Aldovini: la stessa con cui sono stati presentati di recente a Forth Worth, San Francisco e Houston, che, anziché seguire i precedenti allestimenti, utilizza la continuità dello sfondo per ricreare la sequenza: a quasi 500 anni dalla loro realizzazione, il dibattito resta ancora aperto».

Fino al 29 dicembre, sempre nel Castello, la mostra è accompagnata da una rassegna multimediale sulla Battaglia di Pavia.

Bernard van Orley e Willem e Jan Dermoyen, «Cattura del re Francesco I». 1528-31 ca, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

Ada Masoero, 15 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

Le due ore che sconvolsero Pavia (e l’Europa) | Ada Masoero

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