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Gaspare Melchiorri
Leggi i suoi articoliAl Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano apre il 15 maggio (per chiudere il 19 ottobre), in collaborazione con Camera-Centro Italiano per la Fotografia di Torino, la mostra «Dorothea Lange» (a cura di Walter Guadagnini e Monica Poggi), che con un centinaio di scatti celebra la fotografa americana a 130 anni dalla nascita.
Il percorso ha inizio tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, quando la Lange testimonia con i suoi lavori alcuni eventi epocali che avrebbero modificato l’assetto economico e sociale dell’America profonda (su tutti il crollo di Wall Street), eventi che la spingono ad abbandonare il mestiere di ritrattista per documentare l’attualità.
Nel 1935, insieme con l’economista Paul S. Taylor, che sposerà alcuni anni dopo, intraprende un viaggio per raccontare le drammatiche condizioni di vita in cui versano i lavoratori del settore agricolo delle aree centrali del Paese, colpito dal 1931 al 1939 da una terribile siccità. Gli scatti che Lange realizza ispireranno John Ford per il suo film del 1940 «Furore» (il titolo della versione originale era «The Grapes of Wrath»), tratto dall’omonimo romanzo di John Steinbeck del 1939.
L’adesione al programma governativo «Farm Security Administration», nato con lo scopo di promuovere le politiche del New Deal, consente a Lange di viaggiare attraverso gli Stati Uniti e raccontare i luoghi e i volti della povertà. Dalle piantagioni di piselli della California a quelle di cotone degli Stati del Sud, dove la segregazione razziale genera forme di sfruttamento particolarmente degradanti, Lange realizza migliaia di scatti, raccogliendo storie e racconti riportati nelle dettagliate didascalie che accompagnano le opere.
È il contesto in cui nasce «Migrant Mother», il ritratto di una giovane madre disperata che vive con i sette figli in un accampamento di tende e auto dismesse, immagine che diventerà poi iconica. Un altro importante nucleo di scatti risale agli anni della Seconda guerra mondiale, che per gli Stati Uniti inizia nel 1941 con il bombardamento giapponese di Pearl Harbor, ed è dedicato proprio alla popolazione americana di origine giapponese internata in campi di prigionia dal governo americano a seguito dell’entrata in guerra.
Anche in questo caso Lange lavora su incarico del governo, nonostante lei e il marito abbiano espresso pubblicamente il proprio dissenso: i suoi scatti documentano l’assurdità di una legge razziale e discriminatoria e di come questa abbia stravolto la vita di migliaia di persone ben inserite nella società, costringendole ad abbandonare le proprie case e le proprie attività.
Attraverso le sue indiscutibili qualità di reporter e ritrattista, Lange riesce ad affrontare contesti complessi e drammatici, raccontando le esperienze personali e il vissuto emotivo di ogni persona incontrata lungo il percorso, evidenziando al tempo stesso come le scelte politiche e le condizioni ambientali possano ripercuotersi sulla vita dei singoli e cambiarne drasticamente le esistenze, in una ricerca attualissima sulla povertà, la crisi climatica, le migrazioni e le discriminazioni.