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Leonora Carrington, «The Lovers», 1987, Famm (Female Artists of the Mongins Museum), Francia / The Levett Collection

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Leonora Carrington, «The Lovers», 1987, Famm (Female Artists of the Mongins Museum), Francia / The Levett Collection

Il mondo segreto di Leonora Carrington a Palazzo Reale

Con più di 60 opere tra dipinti e disegni, oltre a fotografie e materiali vari, l’istituzione milanese ospita la prima retrospettiva in Italia di un’artista anticonformista, pioniera del pensiero femminista ed ecologista

Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Che cos’altro sarebbe stato permesso, nei primi decenni del ’900, a una ragazza nata in una ricca famiglia del Lancashire ed educata in severissimi collegi cattolici, se non sposarsi con un suo pari, fare la brava padrona di casa e crescere una nidiata di figli? Non era questo ciò che sognava per sé Leonora Carrington, che infatti fuggì più volte dai collegi e dalle suore e che, dopo aver strappato al padre, nei primi anni Trenta, il permesso di studiare pittura a Firenze, una volta tornata a casa, a 19 anni soltanto fuggì in Francia con Max Ernst, quarantenne e protagonista di quella sulfurea scuola di pensiero che era il Surrealismo, guadagnandosi così l’interdetto paterno: con lui non s’incontrerà più, ma lei diventerà un’eccellente pittrice e scultrice, un’ottima scrittrice, una drammaturga e anche una pioniera del pensiero femminista ed ecologista.

A Leonora Carrington (Inghilterra, 1917-Messico, 2011) Palazzo Reale dedica dal 20 settembre all’11 gennaio 2026 un’importante retrospettiva (la prima in Italia) curata da Tere Arcq e Carlos Martín (già curatori della monografica su Leonor Fini da poco conclusa qui) e prodotta dallo stesso Palazzo Reale con Mondo Mostre, Civita Mostre e Musei ed Electa, che da marzo a luglio 2026 si trasferirà al Musée du Luxembourg di Parigi. Ricca di oltre 60 opere tra dipinti e disegni, cui si aggiungono fotografie e materiali diversi che documentano la vita anticonformista e la creatività sfrenata e multiforme dell’artista, la mostra ne ricompone il singolare universo immaginifico, in cui i miti irlandesi narrati a lei, bambina, dalla madre e dalla nonna s’intrecciano con la passione per le pratiche magiche, con la frequentazione di un pensiero non razionale, con un precoce senso di sorellanza con le altre donne e con il convincimento che esseri umani e natura siano da tutelare, insieme, con l’identica forza. Ne parliamo con Carlos Martín.

Dottor Martín, Leonora Carrington è stata un’anticipatrice di tante istanze del nostro tempo: come spiega questa sorta di sua veggenza?
Mi piace la parola «veggente» per Leonora Carrington, perché dà l’idea di una persona capace di anticipare il futuro ma anche di frequentare il pensiero esoterico e tutte le forme di conoscenza, canoniche e non canoniche. La vicenda personale, specie nel suo caso, è importantissima: la sua fu una ribellione contro una famiglia molto british, una fuga dalle sue radici. È stata una donna ribelle ma fragile: stava da qualche tempo con Max Ernst, in quella casa di Saint-Martin-d’Ardèche, nel Sud della Francia, che con lui trasformò in una vera «opera d’arte totale» e, al tempo stesso, in un loro ritratto, quando lui, tedesco, allo scoppio della guerra fu imprigionato. Era comprensibilmente spaventata (lui era ormai la sua famiglia) e fuggì in una Spagna che era però franchista e piena di nazisti. Fu violentata da un soldato e finì ricoverata in una casa di cura per malattie mentali, dove subì un trattamento disumano. Lo racconta lei stessa nel suo libro Down Below del 1944: si rifugiò allora nell’arte, nella letteratura (era una grande lettrice e un’ottima scrittrice), nella spiritualità e lasciò riaffiorare le leggende celtiche e la religiosità dell’infanzia, che divennero per lei fonti d’ispirazione, delle mappe e delle cartografie per muoversi in quel suo mondo sconvolto. Ritroverà un equilibrio quando si trasferirà in Messico e creerà una famiglia con il fotografo Emerico «Chiki» Weisz: la gravidanza e la prima maternità saranno per lei un momento di grandissima fecondità artistica.  

Negli anni della guerra il Messico diventa una vera centrale del Surrealismo. Perché?
C’erano diversi fattori: quello simbolico, perché i surrealisti cercavano luoghi nel mondo ricchi di fervore culturale ma poco battuti (esemplare il caso delle Isole Canarie) e legati all’idea, ormai superata, del «selvaggio». Quando Breton negli anni Trenta andò in Messico disse che quello era «il Paese surrealista per eccellenza». Ma c’era anche l’aspetto politico, storico: il Messico era un luogo molto accogliente per i rifugiati di guerra e, prima ancora del conflitto, aveva accolto molti esuli spagnoli in fuga dal franchismo, tra i quali la pittrice Remedios Varo, che diventerà una cara amica di Leonora. 

La Biennale di Venezia del 2022 di Cecilia Alemani, con la mostra «Il latte dei sogni» (titolo di uno scritto di Carrington) e con l’esposizione di tante sue opere, ha riacceso l’attenzione su di lei. È stato questo, a suo parere, il vero punto di svolta per la sua fama oggi globale? 
In Messico Leonora Carrington è presente da sempre nei musei e nelle collezioni private più importanti, ma il vero punto di svolta, in realtà, è stato precedente a quella (meravigliosa) Biennale e si è verificato quando, una decina d’anni fa, si è iniziato a ripensare l’arte delle donne. Tere Arcq, che cura con me questa mostra, già nel 2018 presentò al Museo de Arte Moderno di Città del Messico l’importante sua mostra «Cuentos mágicos» poi, nel 2022-23, curammo insieme quella dell’Arken Museum in Danimarca e della Fundación Mapfre di Madrid. Ma, certo, la Biennale ha dato un forte impulso non solo a lei ma a tante altre artiste da riscattare.

L’ultima sezione della mostra di Milano è dedicata alla «Cucina alchemica». Che ruolo occupa la cucina nell’immaginario di Leonora Carrington? 
Occupa un ruolo centrale, in quanto spazio di creatività, luogo della donna madre e nutrice. Ai suoi occhi è un luogo di trasformazione come lo studio dell’artista. Ma la cucina è anche lo spazio in cui le donne, escluse allora dalla vita pubblica, potevano comunicare in un luogo sicuro. Il femminismo di Leonora Carrington è molto personale, non gridato, non politico seppure con evidenti valenze politiche. Lei tenne infatti sempre un profilo molto basso, e in tal modo il suo mondo segreto resta ancora più segreto, e affascinante.

Leonora Carrington, «Sisters of the Moon, Fantasia», 1933. Courtesy of Gallery Wendi Norris, San Francisco

Ada Masoero, 16 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

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