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Davide Landoni
Leggi i suoi articoliNel trentesimo anno di attività della Galleria Raffaella Cortese, Marcello Maloberti torna in galleria con una personale che, oltre a celebrare il rapporto tra mercante e artista, diviene il manifesto di una poetica unica e personalissima. Dopo 28 anni di collaborazione e la grande retrospettiva al Pac di Milano nel 2024, «Incipit», curata da Giulio Dalvit, segna l’apertura di un nuovo ciclo collaborativo, tanto da coinvolgere contemporaneamente i tre spazi milanesi della galleria e la sua sede di Albisola.
Al centro del progetto una posizione provocatoria, nel pieno stile dell’autore. Il tutto è infatti concepito come una soglia, un invito a sospendere l’umana tentazione di conoscere per intero, di esaurire, di completare. Maloberti rifiuta la narrazione lineare, il messaggio diretto, il compiacimento del didascalico e compie un gesto opposto: introduce un silenzio che si fa spazio d’ascolto, eco e risonanza. Un mistero quasi religioso. Che difatti alla religione, a più riprese, si lega. Come nei tre spazi di Milano, tappe di una nuova Via Crucis, non progressiva e senza approdo.
A scandirla una sola targa in ottone su cui è incisa una frase inedita della serie «Martellate». La frase, identica in ogni sede, non si moltiplica: insiste. L’opera resta la stessa, a mutare è lo sguardo del visitatore-performer, a confronto con la ripetizione e la rarefazione come opportunità di intensificare l’esperienza e non di assottigliarla. Di tensione perpetua vive anche l’esposizione di Albisola. A svuotarsi di forme e riempirsi di contenuto qui è «La conversione di San Paolo» (1601) di Caravaggio, ridotta e reinterpretata da Maloberti senza riferimenti iconografici, ma in una soluzione essenziale che ruota attorno ai concetti di luce divina come trauma e rivelazione. Non c’è il cavallo, non c’è la figura caduta. Eppure, resta la caduta, resta il principio. Resta la luce come ferita, come apertura. Maloberti si rifà a Caravaggio non per citare, ma per svuotare la scena e lasciare che il sacro emerga per assenza.
Nel complesso dei quattro ambienti la mostra possiede dunque un evidente carattere filosofico, che attraverso l’impostazione poetica e formale sviluppa gradualmente un’urgenza in chi ne fa esperienza. Liberarsi dalla necessità di spiegare, liberare dal bisogno di comprendere. Così l’esposizione non racconta, ma interroga. «Come, leggiamo nel testo di mostra, un oracolo esausto, o un mantra che vuole incidere la superficie stessa della città attraverso il suo pubblico, che ne diventa conduttore».

Marcello Maloberti, «La conversione di San Paolo», 2025. Courtesy l’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano-Albisola