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Claire Fontaine porta a Palermo le ricette per un nutrimento autentico

Fino al 13 dicembre il collettivo trasforma la galleria Francesco Pantaleone in una cucina esistenziale, una mensa del reale, un altare domestico per interrogare cosa ci nutre e cosa ci avvelena

In un’epoca in cui persino il cibo ha smesso di essere nutrimento per diventare rappresentazione, «Casa Fontana» è un’invocazione ironica e disperata a ciò che ci tiene in vita. Con questa mostra, un progetto speciale pensato per i suoi otto anni a Palermo, fino al 13 dicembre Claire Fontaine trasforma la galleria Francesco Pantaleone in una cucina esistenziale, una mensa del reale, un altare domestico per interrogare cosa ci nutre e cosa ci avvelena, dentro e fuori.

Gli ingredienti sono semplici, ma incrostati di ambiguità: un hamburger, una torta, un pasto che forse è un’arma. Come spesso accade nel lavoro del collettivo, la forma è seducente e ingannevole. Due sculture – «Raw» e «Cooked» – ritraggono l’oggetto-simbolo del fast food globale, l’hamburger. Ma non è chiaro cosa contenga, né da dove venga. È carne o sua simulazione? È clone, cellula, pastiche da laboratorio? Un cibo reale o la sua copia sintetica? E soprattutto: cosa dice di noi, oggi, ciò che mettiamo in bocca? L’opera «Is it Cake?» rilancia la domanda in forma di enigma visivo. È un oggetto vero o una torta? È commestibile o è solo un’altra illusione? Ritorna il fantasma del ready-made, ma filtrato attraverso la cultura dei reel e dei meme, in cui ogni cosa può essere tagliata per rivelare un’altra verità sotto la superficie. La scultura, come il cibo, è un pretesto per parlare di confini: tra vero e falso, organico e artificiale, fame reale e desiderio manipolato.

«Casa Fontana» non è una mostra sul cibo. È una mostra sull’industria della fame, sul marketing della nostalgia, sulla distorsione contemporanea di uno dei gesti più primari e intimi: mangiare. Claire Fontaine spinge lo spettatore a vedere nel piatto un campo di battaglia. Quando il cibo diventa trappola per il turista, esca mediatica, arma di controllo o oggetto tossico, allora la “casa” – intesa come spazio di cura, di riparo, di relazione – si trasforma in un luogo ostile. Il titolo stesso è un ossimoro poetico: Casa Fontana. L’acqua, simbolo di vita, associata alla casa, simbolo di protezione. Ma c’è una nota stonata, un cortocircuito sottile. Perché oggi la casa non è più quel luogo sicuro attorno a una tavola imbandita. È Airbnb, è smart working, è consumo ininterrotto. La cucina diventa catena di montaggio, il ristorante una macchina per turisti, il cibo uno spettacolo da condividere e vendere online. Siamo operai a tempo pieno nella fabbrica del quotidiano, umani e non umani inclusi.

E allora dove si trova, oggi, uno spazio di nutrimento autentico? Claire Fontaine risponde senza retorica: nei legami. Nei gesti collettivi, nella possibilità di vivere e lavorare insieme in una città come Palermo, che resta una delle ultime roccaforti contro l’alienazione diffusa. «Casa Fontana» è anche questo: una dichiarazione d’amore per una città che ha saputo accogliere, nutrire, ispirare. Un invito a giocare col cibo – come ci era proibito da bambini – non per irresponsabilità, ma per restituirgli senso, per ribaltare la narrazione.

Riccardo Deni, 02 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Claire Fontaine porta a Palermo le ricette per un nutrimento autentico | Riccardo Deni

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