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Gianfranco Ferroni
Leggi i suoi articoliA Roma, nel Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini, sono arrivati i gioielli di Cartier, in una mostra curata dalla storica del gioiello Bianca Cappello, dall’archeologo Stéphane Verger, dal sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce e promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con la Maison Cartier e con il supporto di Zètema Progetto Cultura. Il progetto di allestimento è a cura di Sylvain Roca e vanta, sottolineano gli organizzatori, «uno straordinario contributo creativo del maestro Dante Ferretti». Tutto questo scintillio, visibile fino al 15 marzo 2026, avviene tra le sculture in marmo della collezione del cardinale Alessandro Albani e «una selezione di preziosi reperti antichi provenienti dalla Sovrintendenza Capitolina, da prestigiose istituzioni italiane e internazionali e da collezioni private». Quella che viene definita dai propalatori di eventi come «una splendida cornice». Musei Capitolini o showroom? Il dubbio viene anche tra i responsabili delle antichità: i marmi storici sono forse scenografie a beneficio dei gioielli? La formula scelta è quella abusatissima del «dialogo» tra sculture come la «Venere Capitolina» e gli oggetti esposti. Dove il senso della vista è protagonista, anche se è stato aggiunto astutamente l’olfatto, «con le fragranze create dalla profumiera della Maison Cartier, Mathilde Laurent».
Il racconto ha ambizioni cinematografiche: «Nel 1923, Louis Cartier fece un viaggio attraverso l’Italia, presumibilmente accompagnato dalla contessa Jacqueline Almassy (che avrebbe sposato nel 1924) e da sua figlia, Anne-Marie Révillon. Il viaggio è documentato in un album fotografico, scoperto negli Archivi Cartier» durante il lavoro preparatorio della mostra, con tappe «da Venezia a Ferrara, poi Siena e Orvieto, terminando a Pompei». Si ricorda che «a metà del XIX secolo, l’Europa fu affascinata dallo stile neo-archeologico promosso dai Castellani, una famiglia di orafi e collezionisti romani. Fondata nel 1814 da Fortunato Pio Castellani (1794-1865) e proseguita dai figli Alessandro e Augusto, la casa di gioielleria Castellani riportò l’attenzione sull’arte orafa e sulle scoperte archeologiche, in un’epoca in cui questa disciplina muoveva i primi passi. Il successo dello stile neo-archeologico in Francia è legato all’acquisizione, da parte di Napoleone III, della collezione di Giovanni Pietro Campana per il Museo del Louvre nel 1861. L’eccezionale raccolta di gioielli antichi del marchese Campana (1808-1880) era stata in precedenza restaurata e studiata dalla famiglia Castellani. Anche la Maison Cartier, uno dei fornitori della corte di Napoleone III, adottò questo gusto neo-archeologico. Le pagine di un registro di magazzino del 1874 illustrano diversi gioielli che fanno esplicito riferimento a tale stile».
Livia come Cerere 14-37 d.C., Roma, Musei Capitolini, Palazzo Nuovo. © Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
Un’ammissione vera e propria, evidenziando che «nel 1898, con l’arrivo di Louis Cartier (1875-1942) alla direzione della Maison parigina al fianco di suo padre, l’ispirazione all’antico viene inserita in un vocabolario aggiornato e moderno. I disegnatori della Maison erano invitati a consultare i libri della sua biblioteca per studiare e copiare le opere d’arte». Copiare è stato un imperativo categorico, e questo viene detto chiaramente. Il risultato di questa «elaborazione» è la spilla «il cui modello iconografico è il mosaico delle colombe di Plinio, così chiamato per la descrizione fatta da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (77 d. C.) di un mosaico risalente al II sec. a.C realizzato dall’artista Sosos di Pergamo. Quest’opera, già molto famosa nell’antichità, fu replicata in varie copie, tra cui quella qui esposta, ritrovata nella Villa Adriana a Tivoli e successivamente entrata nelle collezioni capitoline nel 1764. Il soggetto di questo mosaico è stato spesso riportato sui gioielli acquistati dai viaggiatori del Grand Tour tra XVIII e XIX secolo. Il suo fascino ha ispirato anche Cartier che lo ripropone in una nuova sintesi formale e materiale, tornando ancora su questo tema negli anni Trenta in modo più astratto in linea con il gusto del Art Decò».
Dalla storia si attinge a piene mani: «Un gioiello tipico della cultura greco romana è la corona a ghirlanda con rami di piante intrecciati», e «nei primi anni del XX secolo, Cartier propone la tiara e la corona a ghirlanda utilizzando in modo innovativo il platino e illuminandole con diamanti. Queste tiare riscossero successo presso una nuova élite che, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, aspirava a consolidare il proprio status nella società, emulando la storica aristocrazia europea». Ma visto che non si copia solamente, ecco la necessità di «reinterpretare l’antico», così «anche l’architettura classica, con le sue colonne e gli archi a tutto sesto, costituì un’ulteriore fonte di ispirazione per i disegnatori di Cartier. Queste suggestioni classiche, nel primo trentennio del XX secolo, contribuirono allo sviluppo dello “stile moderno” della Maison». Per non parlare dei «modelli classici che gli artisti francesi apprendevano nel viaggio di studio a Roma. L’ispirazione venne anche dalle stampe ampiamente diffuse delle incisioni dei monumenti romani realizzati dall’architetto Giovan Battista Piranesi (1720-78). Tali riferimenti storici rispondevano particolarmente alle esigenze delle corti europee e della nuova borghesia che desideravano trasmettere questa estetica di splendore regale». Ecco che «le divinità e i personaggi della mitologia greca e latina sono sopravvissuti nei secoli come simboli di concetti astratti altrimenti difficili da rappresentare e, per tale motivo, durevoli nel tempo. Basta un dettaglio per creare un’allegoria: la freccia è quella scagliata da Eros (Cupido), dio dell’Amore; le ali sono quelle di Hermes (Mercurio), il veloce messaggero degli dèi, e così via. Questi simboli e le loro varianti ricorrono nella gioielleria di ogni epoca, e Cartier ha saputo sfruttarne le potenzialità, sempre in modo elegante e geniale. Il mito è stato rielaborato da Cartier anche attraverso l’estetica rinascimentale, ricca di mascheroni e grottesche».
Un illustre copista è stato accolto a braccia aperte nei Musei Capitolini trasformando le sale in uno showroom? È un dibattito che sta crescendo nella città eterna, tra un diadema e un pendente, la spada accademica di Jean Cocteau ideata per essere sfoggiata tra gli «immortali» dell’Académie Française e una collana egiziana. Qual è il messaggio per il visitatore? Il brand ha rafforzato la sua immagine, senz’altro, ma il rischio è quello di evocare fatalmente il neuromarketing e l’artwashing. Si torna nella piazza del Campidoglio, rammentando che fu quella a suggerire nel 1927 l’ispirazione di un orologio Cartier. La scalinata riporta nel caos cittadino, con l’elemosina chiesta dai poveri. Pardon, clochard.
Pendente, Cartier Londra, 1920, collezione Cartier
Mosaico delle Colombe da Villa Adriana, Tivoli (1737), fine I secolo a.C., Roma, Musei Capitolini, Palazzo Nuovo