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Betty Danon, «Memoria del Segno Sonoro», 1978

Photo: Amedeo benestante

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Betty Danon, «Memoria del Segno Sonoro», 1978

Photo: Amedeo benestante

Betty Danon e gli altri, quarantotto anni dopo

Al Castello di Miradolo una mostra antologica mira a tracciare l’evoluzione espressiva di quest’artista turca, naturalizzata italiana

«Da ogni corrispondente prendo qualcosa di differente e a ognuno rendo qualcosa di nuovo, fino ad allora sconosciuto persino a me stessa. Non può esser questa una definizione di comunicazione?». Lo scambio insito nel comunicare, come pure nel gesto artistico reso fruibile e fruito, è oltremodo esplicito in quel «movimento» della mail art, l’invio di missive che coinvolse da Marcel Duchamp nel 1916 a Ray Johnson e gli artisti Fluxus, sino alle più moderne espressioni, la cui pratica veniva così descritta da una delle sue esponenti: Betty Danon. 

Dall’11 ottobre all’8 dicembre 2026 a lei e alla sua produzione artistica viene dedicata al Castello di Miradolo (San Secondo di Pinerolo, To) la mostra antologica «Betty Danon. Io e gli altri», presentata dalla Fondazione Cosso con la collaborazione dell’Archivio Betty Danon e della Galleria Tiziana Di Caro di Napoli e curata da Roberto Galimberti, con il coordinamento di Paola Eynard e la consulenza iconografica di Enrica Melossi. Quattordici sale e opere che vanno dalla carta alla tela, dalla macchina da scrivere al computer (con alcuni inediti) la mostra mira a tracciare l’evoluzione espressiva di quest’artista turca, naturalizzata italiana. 

Nata a Istanbul nel 1927 con il nome di Beky Aluf, lo cambiò in Betty Danon dopo il matrimonio con il commerciante di macchine tipografiche Maurizio Danon (da cui si separerà nel 1985) con cui si trasferì in pianta stabile a Milano. Fu allora che, dall’arte antica della miniatura e dal disegno di abiti e gioielli studiati nella sua città natale, a partire dal 1969 iniziò a produrre i suoi collage, lavori ora esposti dal MoMA di New York e in oltre 25 Paesi al mondo. Collage e assemblaggi, adesivi e timbri, ritagli di poster e di fotografie, disegni e date scritte a matita, indirizzi a volte anche fantasiosi e francobolli autoprodotti. È questa la ricchezza del Fondo Betty Danon, custodito al Mart di Rovereto, che conserva i suoi lavori dal 1972 sino al 2002, anno in cui Betty Manon è morta o, come si legge più poeticamente dal suo sito, «è partita per Rainbowland», il paese dell’arcobaleno fatto sorgere dalla sua mente fantasiosa a partire dal 1976 come simbolo di un «luogo altro». 

«Io e gli altri», ripreso nel titolo, fu uno scambio epistolare orchestrato con pazienza da Betty Danon nel 1977, in cui chiamò a intervenire su un foglio pentagrammato oltre 200 artisti, molti dei quali suoi consimili nella ricerca di personali partiture della lingua, come Emilio Isgrò e Tomaso Binga (Bianca Pucciarelli Menna), Maria Lai, Giulia Niccolai e Sol LeWitt. Sotto la curatela di Guido Le Noci, l’opera venne esposta per la prima volta alla Galleria Apollinaire di Milano nel 1979. «Mi sono soffermata per parecchi anni sul tema punto-linea, chiarì lei stessa in proposito, riducendo tutto a questi due elementi primari quale comun denominatore del micro e macrocosmo. “Io e gli altri” ne è il seguito logico, laddove gli altri sono i punti, io la linea di connessione». 

Betty Danon, «Rainbowland», 1973. Photo: Amedeo Benestante

Sanzia Milesi, 02 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Betty Danon e gli altri, quarantotto anni dopo | Sanzia Milesi

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