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Matteo Bergamini
Leggi i suoi articoliLo scorso 18 novembre, da Sotheby’s New York, la sua «Alvorada - Música Incidental Black Bird», 2020, stimata tra i 100 e 150mila dollari, aveva rotto tutti i record, venduta per 1,02 milioni, superando di oltre dieci volte la stima minima. Eppure, Antonio Obá (Ceilândia, 1981, vive e lavora a Brasília) non è nuovo a questi voli: quest’ultima vendita infatti batte il precedente record d’asta dell’artista, fissato a 787.400 dollari, segnando un aumento del 325 per cento rispetto al suo precedente più illustre: «Sankofa - Figura Com Alpargata», anch’essa del 2020, venduta per 228.600 dollari, sempre da Sotheby's, il 14 maggio 2024. Il motivo di tale successo, per chi scrive, è presto detto: Antonio Obá è uno dei più talentuosi artisti brasiliani della sua generazione e la personale, «Nascimento» (fino al 28 febbraio) , nella sede paulistana della galleria Mendes Wood DM, è assolutamente imperdibile. Dopo Paulo Nazareth, anche Obá occupa tutti gli spazi del «galpão» di Barra Funda, confrontandosi con lo spazio e la luce e, contemporaneamente, aprendo a una nuova politica espositiva di Mendes Wood DM, offrendo ai propri artisti la possibilità di realizzare mostre di carattere museale. Così, dopo aver lasciato l’artista al CAC di Ginevra lo scorso inverno, con la splendida «Rituals of care», lo ritroviamo nuovamente con tutta la sua potenza: «Credo che l’idea che abbia alimentato la mostra sia arrivata in anticipo, con il titolo, Nascimento. A dir la verità credo sia la prima mostra in cui il titolo si è imposto da solo, si è manifestato. Così, in un certo senso, tutte le opere testano un pensiero intorno a questa idea di nascita, a un momento che dà origine a qualcosa ma, soprattutto, ai vari percorsi e smarrimenti che iniziano ad accadere da quel momento, da questo nascere, dalle varie vie che la vita ci offre», ci racconta l’artista. E i cammini sono tracciati ben dal principio: «Nascimento» si apre attraversando due aree verdi occupate da un lato dalle foglie della Spada di San Giorgio e, dall’altro, quella di Santa Barbara, entrambe simbolo di coraggio e rinnovamento, fermezza e protezione, maschile e femminile. Da qui, il percorso che si apre non è circolare né lineare, ma simboli, colori e forme dialogano e si intrecciano con la storia dell'arte: bizantina, romana, rinascimentale, traslandone l'immaginario su un piano che ha a che fare con la capacità di sintesi o, si potrebbe dire, con una certa idea di sincretismo. Tra le opere più brillanti, «Situação terreiro: estripulia», 2025: tre bambini correndo verso la fine di un giardino, un fondo oro come cielo e altri pochissimi colori: il bianco delle uova, il rosso di un grande albero e del sangue raccolto in un piatto per offerte: «Ispirandomi a una storia famigliare di tre bambini estremamente vivaci, la cui madre toglieva loro i vestiti per cercare di calmarli con l'imbarazzo, invano, diventa in questo caso una ricerca che fa anche riferimento ai colori di Exú (figura della comunicazione che si pone tra il piano spirituale e quello materiale, responsabile della vitalità, del movimento e dell'applicazione della legge, appartenente ai culti di matrice africana, come Candomblé e Umbanda, Ndr), ma non solo. C’è un’ambientazione riferita anche ai colori che sono molto demarcati nell'alchimia: il rosso, il nero, il giallo, il bianco, che denotano un carattere di trasmutazione. Una vita che ci sta chiedendo un impeto, il coraggio di rompere i recinti e avanzare», racconta ancora Obá.
«Nascimento», vista della mostra, foto di Gui Gomes
«Situação terreiro: acese», dettaglio, foto di Gui Gomes
Un passo che sembra appartenere alla letteratura di Walter Hugo Mãe, uno degli autori portoghesi viventi più celebrati: «Cercavo di calmarmi, come a fermare il battito del proprio cuore. La mia natura era quella del movimento. Quasi sempre mi muovevo prima di sapere per dove o per che ragione. La mente non era mai più rapida che i nervi nel corpo. La mente aspettava ragioni e spiegazioni, il corpo seguiva la vertigine. Ero un animale attivato per la semplice evidenza di pulsare», scrive l’autore nelle vesti di Paulinho, nel romanzo Deus na escuridão. Nella grande installazione «Situação terreiro: acese», 2025, che occupa una intera area della galleria, uova rosse in cestini adagiati su terra battuta, soggetta alle modificazioni atmosferiche, alle cui sommità cala una pioggia di búzios (la conchiglia monetaria, utilizzata nei rituali di matrice africana e anticamente come valuta, ndr): «Tutti questi simboli si riferiscono a una memoria collettiva. Non sono vincolati a geografie né a epoche, nonostante si possa percepire un chiaro riferimento a certe tradizioni afro-brasiliane, come il gioco dei búzios. Però, anche in questo caso, l'uso del colore, il rosso, denota il momento di trasmutazione della materia. Anche in questo caso, i miei riferimenti junghiani giocano su un piano di coscienza e di trasformazione individuale. Questa porzione di terra, viva, è certamente destinata al culto, ma anche al lavoro. E tutto questo rosso, a cui la percezione deve abituarsi, emula profondità dinamiche, è quasi un pulsare. È quasi come entrare in un utero, in un ambiente che è vivo e non costante», spiega ancora l’autore brasiliano, che dichiara anche di lavorare attraverso un processo «misto».
«Le pareti dello studio sono il luogo di protezione, ma è nelle più svariate e quotidiane situazioni che nasce un'idea: nelle passeggiate in bicicletta o con il mio cane, cercando di mettermi sulle sue stesse frequenze e esigenze, e anche dialogando con il paesaggio, rallentando la frequenza». Esemplare, in questo caso, «Auriga: ou o que aprendi caminhando com meus cães», 2025: l’artista, immerso in un paesaggio con il tipico tramonto incandescente del cerrado (il bioma del centro-ovest brasiliano, corrisposto per vegetazione bassa e lunghi periodi di secca che sembrano uccidere la vegetazione, che invece entra in un processo di dormienza, Ndr) sta gestendo cinque cani, in una metafora che racconta della necessità continua di domare tanto i nostri «animali», o diavoli interiori, quanto quelli che appaiono nel cammino della nostra esistenza: «Tutto, nella vita, è il tentativo di creare un'armonia: nulla è semplicemente una camminata al guinzaglio».
Antonio Obá, «O mago #1», 2025. Courtesy dell’artista e Mendes Wood DM, SãoPaulo, Brussels, Paris, New York
E ancora a proposito del metodo di lavoro, rimarca l’artista, si tratta sempre di una ricerca di immagini che vengono direttamente progettate sulla tela: «Uno schizzo si trasforma spesso in una stampella, che a volte ostacola il cammino e che toglie libertà». E di fatto, Antonio Obá, per questa sua «Nascimento» la libertà se l'è presa in toto: il murale site specific per la mostra è stato realizzato direttamente affrontando la parete, senza disegni preparatori; di fronte a lui, una rivisitazione delle carte dei Tarocchi, completando un ulteriore processo di realtà, di esistenza e fine, perché è necessario un arrestarsi per arrivare al momento di genesi, secondo le parole dell'artista. E poi c'è lei, «Figura adâmica: Wuso owoti a nea aka no ye ahoma», 2025, forse la più emblematica di tutte le pitture e le installazioni che comprendono questa personale che sembra quasi una retrospettiva di anni di lavoro, nonostante tutte le opere siano state prodotte appositamente per la mostra, nell'ultimo anno. Qui un serpente è ritratto sdraiato accanto all’artista, che lo tiene a distanza; ai lati, due alberi spogli, in un Eden bizzarro che fa nuovamente capo alla natura del Centro Ovest del Brasile, ma dove manca una figura femminile. L'immagine, anche stavolta, è una sorta di riedizione di detti popolari, che raccontano di come vi sia un momento dove l'animale si sdraia al tuo fianco per creare una specie di antropometria, per verificare se la lunghezza del corpo umano possa essere contenuta in lui. Una visione molto carnale, per un Adamo ben differente e dal costume viola (il tono del lutto e dell'attesa, nella simbologia cristiana), che in tutti i modi è a contatto con la Terra, nonostante la scena sia pervasa di uno stato di costante latenza o, ancora, della possibilità di dormire con il desiderio e allo stesso tempo non esserne divorati. Esattamente quello stesso tentativo di stabilire una convivenza che Joseph Beuys instaurava con il coyote. Infine, nell'ultima parete (o nella prima, dipende dal percorso scelto) una serie di disegni che hanno la temperatura di studi anatomici, in grafite su carta, quasi michelangioleschi. Sono corpi senza un nome, immaginati: una serie intitolata «As minhas sonâmbulas», realizzata in momenti di pausa: «Sono disegni quasi automatici, che arrivano quando cerco una forma di rilassarmi, un attimo di abbandono. A volte mi sorprendo a sonnecchiare e quando me ne accorgevo la mano si muove ancora». E la loro bellezza, probabilmente, risponde da sola in merito ai record che Antonio Obá sta strappando da un capo all'altro del mondo, dalla Svizzera ad Amsterdam, dalla Cina al Brasile.