La prima immagine satellitare risale al 1959, fu realizzata dal satellite Explorer 6. Mostrava l’Oceano Pacifico. Un quadro informale. Una di quelle visioni iconiche che segnano un prima e un dopo e che ha contribuito a modificare la percezione della Terra e dell’umanità, il cui punto di vista nei millenni è passato dall’essere unicamente orizzontale alla possibilità della vista verticale. Prima che aerei, oggetti volanti nello spazio di varia natura e droni, ormai alla portata di tutti, lo sguardo dall’alto era qualcosa di immaginifico, un desiderio e un sogno, che si poteva ipotizzare calandosi nel corpo di volatili e dei. O volando sui primi velivoli, che permettevano vertigini di visioni e l’emozione galvanizzante che ben ci hanno raccontato le fotografie scattate dalla mongolfiera di Nadar, le prime aeree della storia, e poi l’aeropittura futurista.
Da allora il mondo è diventato sempre più verticale, ma di fianco alla meraviglia si è sviluppato parallelamente la dinamica del controllo. Dall’alto, oltre agli dei, l’umanità, anche grazie a figure visionarie come George Orwell e il suo personaggio del Grande Fratello nel romanzo 1984, ha scoperto di essere osservata, studiata, manipolata da sistemi di potere visibili e invisibili.
Nel 2011, l’artista e scrittrice Hito Steyerl ha dato un nome a tutto ciò con il concetto di «prospettiva verticale», per affrontare «l’abbandono di un paradigma stabile di orientamento» e per descrivere ciò che può essere visto, a tutti gli effetti, come l’emergere di un nuovo regime scopico. Questo il tema che anima la mostra «A View From Above», a cura di Domenico Quaranta, Salvatore Vitale con Samuele Piazza, che si inaugura il 2 maggio alle Ogr Torino. Tra gli artisti invitati Mario Giacomelli, tra i più importanti esponenti italiani della fotografia del XX secolo.
Il curdo-iracheno Hiwa K., con la sua critica attiva al sistema educativo tradizionale, alla professionalizzazione dell’arte e al mito dell’artista individuale attraverso lavori connotati da una dimensione collettiva e partecipativa. Evan Roth, statunitense, che utilizza la rete come piattaforma per la libera circolazione delle informazioni e la condivisione delle opere d’arte create in formato digitale. Tomas van Houtryve, fotoreporter e artista belga che racconta le rotte dei giovani migranti, un mondo di rivoluzionari, spie, oppositori politici e semplici lavoratori in Paesi come la Cina, la Corea del Nord, il Laos, il Nepal e il Vietnam, dove ancora sopravvivono regimi comunisti. Tabita Rezaire, artista, guaritrice e insegnante di yoga che vive nella Guyana francese e lavora attivando pratiche trasversali, sul senso profondo di connessione che anima la vita e l’arte. «Adottando la prospettiva verticale come punto di vista principale, la mostra esplora il modo in cui il nostro sguardo sul paesaggio mediato dall’obiettivo fotografico sia cambiato negli ultimi decenni, e come questo spostamento di regimi scopici abbia influenzato il modo in cui controlliamo, progettiamo e modelliamo l’ambiente in cui viviamo», scrivono i curatori.