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È dal 2019 che la Fondazione Ica, diretta da Alberto Salvadori, porta a Milano, due volte all’anno, artisti che si presentano per la prima volta sulla scena pubblica italiana o che propongono chiavi di lettura inedite della contemporaneità, con una programmazione che genera sempre scintille di sorpresa. In questo autunno 2025, dal 26 settembre all’8 novembre, sono tre i progetti inediti che vanno in scena: quelli di Oliver Osborne (Scozia, 1985) e di Lewis Hammond (Regno Unito, 1987), entrambi pittori, e, nella Project Room, quello di Isabella Costabile (Usa, 1991), che lavora invece assemblando oggetti trovati e componendo con essi precarie sculture.
«The Sleeping Guard» è il titolo della personale, curata da Alberto Salvadori, di Oliver Osborne, al suo esordio con una monografica in un’istituzione italiana, che riunisce lavori dell’ultimo decennio intorno al dipinto che dà il titolo al progetto e che guarda agli innumerevoli soldati di guardia colti nel sonno da un evento prodigioso (la resurrezione di Cristo, la liberazione notturna di San Pietro dal carcere, il sogno di Costantino o altro) che popolano la grande tradizione pittorica occidentale. Quasi una metafora del sonno cui la pittura è stata costretta per lunghi anni, quando questa pratica era considerata anacronistica e persino «disdicevole» e che da qualche tempo ormai ha invece ritrovato un nuovo vigore, in una cultura, poi, come quella attuale, dominata dai codici del digitale. Osborne pratica la pittura con grande sapienza tecnica e con evidente consapevolezza storica, e agli stimoli che gli giungono da immagini della tradizione (in mostra, anche un’evocazione ectoplasmatica del «Cristo morto» braidense di Mantegna) aggiunge quelli suggeriti dalla cerchia dei suoi affetti. A commento del suo lavoro è in uscita la monografia Oliver Osborne. Recent Paintings (Distanz), che sarà presentata a novembre alla Fondazione Ica.
Ancora pittura, ma di segno diverso, nella mostra «Black Milk» di Lewis Hammond, curata da Chiara Nuzzi, che al piano terra ha riunito una ventina di dipinti recentissimi realizzati dall’artista tra il 2024 e il 2025 espressamente per questa mostra: in grande prevalenza, notturni dai freddi colori bluastri che sembrano rinviare alle angosciose atmosfere del «periodo blu» di Picasso. Incarnati lividi, figure più che inquietanti appena fuori dalla porta di casa (ma sotto un cielo di stelle da chiesa gotica), neonati addormentati, inermi e vulnerabili, su cui sembra incombere un pericolo. Tutto, nei dipinti di Hammond, trasuda inquietudine, ansia, smarrimento: sensazioni, private e collettive, d’impotenza di fronte al nostro mondo, e sembra voler rispondere (ma con altre domande) a domande come «in che cosa riponiamo speranza, oggi?», ed esiste ancora una fede in qualche entità spirituale, di qualunque natura essa sia?
Totalmente diverso, non solo per la tecnica, il lavoro di Isabella Costabile, che nella Project Room, con la cura di Chiara Nuzzi e Gabriella Rebello Kolandra, presenta il progetto «Whose is this», in cui sculture fatte di oggetti trovati nel garage di casa o in strada raccontano la stessa angoscia che pervade la nostra quotidianità minacciata da orribili guerre, reali e commerciali.
I suoi assemblaggi dove pentole ammaccate convivono con paralumi macchiati dal tempo, soffioni della doccia, griglie da barbecue, puntali di alberi di Natale, descrivono una realtà disgregata e destabilizzante, dove nulla è più «al suo posto» e tutto, nella nuova costellazione in cui lo pone l’artista, trova una significanza diversa e sempre mutevole, non certo rassicurante. Mentre il provenire «dalla strada» di tutti gli oggetti da un lato mette in gioco il concetto di proprietà («Whose is this?»), dall’altro mette in scena una sorta di «archeologia della memoria», simbolo eloquente dello scorrere del tempo.

Isabella Costabile, «Playing hours», 2024. Courtesy of the artist e Edouard Montassut, Parigi. Photo: Gina Folly

Oliver Osborne, «Portrait of the Artist’s Son III», 2023