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Wifredo Lam, «Grande Composition», 1949, New York, The Museum of Modern Art

© Succession Wifredo Lam, Adagp, Paris / Ars, New York 2025

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Wifredo Lam, «Grande Composition», 1949, New York, The Museum of Modern Art

© Succession Wifredo Lam, Adagp, Paris / Ars, New York 2025

Al MoMA la prima retrospettiva completa negli Stati Uniti di Wifredo Lam

Oltre 130 opere seguono l’evoluzione dell’opera del visionario artista cubano da Madrid a Parigi, dall’Avana al nord Italia

Maurita Cardone

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Il MoMA di New York ospita fino all’11 aprile 2026 la prima retrospettiva completa negli Stati Uniti dedicata al visionario artista cubano Wifredo Lam. «Wifredo Lam: When I Don’t Sleep, I Dream» ripercorre sei decenni della prolifica carriera di Lam, raccogliendo oltre 130 opere che ne seguono l’evoluzione da Madrid a Parigi, dall’Avana al nord Italia. Organizzata da Christophe Cherix e Beverly Adams, con Damasia Lacroze ed Eva Caston, la mostra si snoda sia come un viaggio attraverso le metamorfosi artistiche di Lam, sia come una meditazione sul significato dell’ibridazione culturale nel XX secolo. Il pubblico può ripercorrere la carriera e la biografia di Lam attraverso dipinti, opere su carta di grandi dimensioni, libri illustrati, stampe, ceramiche e materiali d'archivio, molti dei quali provenienti dalla collezione di Wifredo Lam a Parigi.

Nato a Sagua La Grande, Cuba, nel 1902, l’artista ha avuto un percorso transnazionale segnato dall’esilio e dal dialogo tra i continenti. Dopo essersi formato a Madrid, fuggì dalla Guerra Civile Spagnola e si stabilì a Parigi, dove incontrò Pablo Picasso e André Breton e si unì ai surrealisti. Le sue opere di questo periodo, che includono disegni collaborativi, cadavre exquis e illustrazioni per la Fata Morgana di Breton, rivelano una ricerca condivisa di liberazione spirituale attraverso la forma e l’immaginazione. Ma fu il ritorno di Lam a Cuba nel 1941, dopo un passaggio in Martinica e l’amicizia con il poeta Aimé Césaire, a innescare la sua reinvenzione più radicale. Opere come «La jungla» (1942-43) e «Omi Obini» (1943) diedero espressione visiva alla spiritualità afrocaraibica, affrontando colonialismo, diaspora e identità attraverso forme ibride e metamorfiche. In particolare «La jungla», parte della collezione del MoMA fin dal 1945, non solo è una delle opere più note dell’artista cubano, ma è anche una sintesi della sua poetica: nel dipinto il tema della schiavitù è raffigurato mescolando elementi della Santería, maschere africane e Surrealismo, attravverso figure che sono un po’ piante, un po’ animali, un po’ esseri umani e che compongono un fitto campo di canne da zucchero che evoca la storia di schiavitù e sfruttamento di Cuba.

«Le realtà che affrontò, colonialismo, razzismo, estinzione e sfollamento, rimangono urgenti oggi come lo erano ai suoi tempi», ha osservato Beverly Adams.

Dopo anni di incessante movimento, Lam trovò una nuova casa spirituale e artistica in Italia: la Liguria divenne il suo rifugio e laboratorio di sperimentazione. «A partire dal 1954, Lam visitò regolarmente la cittadina costiera di Albissola Marina, un luogo che divenne un luogo di sperimentazione per tutta la vita, prosegue Adams. Fu lì, nel 1958, che si imbarcò nella realizzazione dei dipinti “Brousse”, una serie che dimostra la sua costante esplorazione ed evoluzione di un singolo motivo attraverso molteplici composizioni». La serie «Brousse», esposta negli Stati Uniti per la prima volta in questa retrospettiva, mette alla prova il suo dialogo tra paesaggio e psiche, figurazione e informale. «Negli ultimi decenni della sua vita, Lam approfondì i suoi legami artistici in Italia e abbracciò discipline che in precedenza aveva affrontato solo sperimentalmente, continua Adams. Lavorando con l’incisore e stampatore Giorgio Upiglio nel suo laboratorio Grafica Uno a Milano, creò numerose serie di stampe e portfolio collaborativi con scrittori e poeti. Lam si dedicò anche alla ceramica, presso Ceramiche San Giorgio ad Albissola Marina, producendo oltre 300 opere, alcune delle quali sono presenti in questa mostra».

Gli anni italiani di Lam sono il culmine della sua ricerca di sintesi, che fonde le energie spirituali della cosmologia afrocubana con la tattilità materiale dell’artigianato mediterraneo. Le sue ceramiche e stampe di questo periodo irradiano la libertà di un artista ormai maturo, ma che continua a pensare oltre i confini e a inventare nuovi linguaggi formali. Per Lam la sua pittura era un «atto di decolonizzazione» e, attraverso il suo lavoro, il Modernismo si è aperto alle culture diasporiche come forze generative. Senza farsi vincolare né dalla geografia né dalla politica, Lam ha prodotto un’arte inquieta e ritmica che ricorda le ibridazioni musicali di quegli stessi anni, in cui l’Africa traspira dalla cultura latina che a sua volta si permea di Europa e il Modernismo diventa un dialogo che travalica i confini.

Wifredo Lam con «La giungla» (1942-43), a sinistra, «La mattina verde» (1943), a destra, e «La sedia» (1943), sul pavimento, nel suo studio a L’Havana studio, 1943. Archives Sdo Wifredo Lam, Parigi

Maurita Cardone, 24 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

Al MoMA la prima retrospettiva completa negli Stati Uniti di Wifredo Lam | Maurita Cardone

Al MoMA la prima retrospettiva completa negli Stati Uniti di Wifredo Lam | Maurita Cardone