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Flavia Foradini
Leggi i suoi articoliQuello che la mostra estiva del Belvedere di Vienna propone col titolo «Radikal. Artiste e Modernismo 1910-1950» è un compendio inevitabilmente lacunoso, e quanto mai interessante, di 60 artiste attive tra il 1910 e il 1950, soprattutto in Europa, ma con sguardi anche nelle Americhe, in Nordafrica, in Medio Oriente e in Asia.
Nata dalla collaborazione tra il museo viennese, il Museo di Arnhem e il Saarlandmuseum di Saarbrücken, l’iniziativa spazia tra mezzi espressivi, forme e stili e ha il pregio di proporre un sovranazionale punto fermo, così da iscrivere definitivamente i nomi di quelle artiste nella storia dell’arte del ’900 e in particolare del Modernismo.
Alcune di esse sono già parte indiscussa dell’Olimpo della produzione della prima metà del secolo scorso, come Käthe Kollwitz (1867-1945), spinta da un senso del dovere a tematizzare la sofferenza degli umili, Tamara de Lempicka (1893-1980) che consapevole del proprio talento affermava: «Fra cento dipinti i miei risalteranno sempre», o Natalja Gonciarova (1881-1962), che per protesta contro la discriminazione di cui si sentiva oggetto passò all’azione dipingendosi faccia e corpo e girando per le strade di Mosca, ma che già nel 1906 partecipò al Salone d’Autunno a Parigi, fu quindi membro della prima ora del Cavaliere Azzurro e che nel 1913 fu la prima donna ad avere una mostra personale in Russia e a collaborare come scenografa con Diaghilev.
Altrettanto nota, versatile e cosmopolita è Leonor Fini (1907-96), ma numerose altre artiste consentono (ri)scoperte, come Madiha Umar (1908-2005), che negli anni Trenta riuscì a ottenere una borsa di studio per Londra e che poi di ritorno a Bagdad si dedicò alla pittura, cercando una sintesi tra calligrafia e astrazione, o come Zubeida Agha (1922-97), oggi annoverata tra i primi artisti moderni del Pakistan ma che con la sua tavolozza di colori accesi al suo esordio creò sconcerto nel proprio Paese, ed è stata presente per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 2024. O ancora la poliedrica austriaca Friedl Dicker-Brandeis (1893-uccisa a Auschwitz nel 1944), che si formò fra l’altro al Bauhaus ed eccelse nel design. O Alexandra Exter (1882-1949), che dopo la Grande Guerra a Kiev, Mosca e Parigi si dedicò soprattutto alla scenografia e che partecipò fra l’altro alla Biennale di Venezia del 1924. Gunta Stölzl (1897-1933), che riuscì a far creare una classe di arte tessile al Bauhaus, dove fu poi docente, e venne considerata artista di punta nel suo campo. O ancora la fotografa viennese Trude Fleischmann (1895-1990), che a 25 anni aprì il proprio studio fotografico e raggiunse uno schietto successo, ritraendo personaggi famosi con un proprio stile inconfondibile. O Selma Burke (1900-95), che da statunitense di colore, negli anni Trenta riuscì ad avere delle borse di studio per potersi formare ulteriormente a Parigi e a Vienna.
Ciò che accomuna la maggior parte di esse: l’affermazione artistica, in un mondo quasi tutto al maschile sia di colleghi sia di galleristi e collezionisti, avvenne spesso a dispetto di tutto, grazie a un’incrollabile determinazione, a partire dalla volontà di formarsi professionalmente nonostante la diffusa esclusione dalle istituzioni preposte, e quindi attraverso una più o meno aperta discriminazione, o marginalizzazione o sminuimento ad «artigiane» o «dilettanti», e attraverso una coraggiosa lotta ai granitici ruoli sociali che confinavano le donne alla sfera domestica.
Le 120 opere esposte negli spazi del Belvedere Inferiore dal 18 giugno al 12 ottobre offrono una carrellata di dipinti, disegni, sculture, bozzetti scenografici, film, fotografie, design tessile, ceramiche, progetti architettonici, che le curatrici Stephanie Auer, Kathrin Elvers-Švamberk e Meike Lander (Saarlandmuseum), Evelien Scheltinga (Museum Arnhem), hanno sondato attraverso il tema della ricerca di un’identità, dell’emancipazione, dell’arte come atto di resistenza o protesta, dell’attivismo sociale e politico vero e proprio, in un periodo segnato da due guerre mondiali, dalla rivoluzione russa, dalla crisi del 1929.