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Tomaso Montanari
Leggi i suoi articoliLa famosa «egemonia culturale» della destra al Governo passa attraverso l’epurazione ideologica e l’appropriazione di posti di responsabilità, in barba a ogni criterio di competenza? È la domanda che mi faccio: essendo finito, mio malgrado, al centro di una vicenda esemplare.
A ottobre scorso è scaduto il mio mandato di presidente della Fondazione del Museo Ginori, alle porte di Firenze: il più importante museo di porcellana del Paese, acquistato dallo Stato dopo una lunga decadenza. Dopo una mia campagna a favore della salvezza del museo, e dopo una mostra anche da me curata al Museo del Bargello, fu il ministro Dario Franceschini a nominarmi presidente: a titolo gratuito. In questi anni abbiamo fatto moltissime cose, e avviato il processo di riprogettazione e riapertura del museo, oggi in un punto delicatissimo. Prima Gennaro Sangiuliano, e poi Alessandro Giuli, mi avevano detto che mi avrebbero confermato in quel ruolo: nonostante il ben noto dissenso politico che ci lega. Del resto, proprio su queste pagine non avevo mai risparmiato le critiche a Franceschini, che si dimostrò libero e istituzionale.
Nel novembre scorso, Giuli sente dunque, per lettera protocollata, il presidente della Toscana e il sindaco di Sesto Fiorentino (gli altri due soci della Fondazione) sul mio nome: ottenendo subito pieno consenso. Ai primi di dicembre, in occasione della visita di Giuli agli scavi di San Casciano dei Bagni (guidati dalla mia università) mi viene mostrato il decreto di nomina, pronto per essere firmato. L’11 dicembre Giuli mi scrive che è a casa con la febbre: «firmo domattina, se non ti serve tutto entro oggi». Ma la mattina dopo sparisce, e un muro di silenzio si oppone a me, alla Regione e al Comune. Finché lunedì arriva a Regione e Comune un’altra richiesta di gradimento: ma stavolta con un altro nome, quello dell’avvocato Marco Corsini, sindaco di Rio nell’Elba, già assessore di Alemanno, zero competenza in patrimonio culturale o tantomeno in storia dell’arte. Cosa è successo il 12 dicembre? Quello che so da qualificate fonti interne al MiC, è che la nuova capa di Gabinetto, imposta da Palazzo Chigi per commissariare Giuli dopo la defenestrazione di Francesco Spano, ha imposto la sospensione del procedimento, e poi il rigetto del mio nome, a causa della querela presentata contro di me dal ministro Francesco Lollobrigida per un mio articolo sul «Fatto quotidiano» relativo alle sue dichiarazioni sulla sostituzione etnica: cosa che avevo diligentemente indicato nel modulo del Ministero che chiedeva di dichiarare «procedimenti penali aperti». Se davvero questo fosse il motivo, sarebbe gravissimo. Se un ministro querela qualcuno, e un altro ministro per questo ne blocca la nomina a un incarico pubblico, siamo all’uso non solo politico, ma personale, del patrimonio della nazione. Credo che ora il ministro Giuli debba delle spiegazioni pubbliche, non solo a me. Giuli ha fatto capire in pubblico, e scritto e detto chiaramente in privato, che non si sarebbe lasciato controllare dal partito e da Palazzo Chigi: ma è esattamente quello che sta succedendo.
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«Chiude così il parco aperto al pubblico, si interrompono prestiti a mostre, collaborazioni esterne e iniziative didattiche. E si sospendono le decisioni relative alla progettazione dell’allestimento del nuovo museo, proprio mentre, finalmente, il cantiere è aperto». In una lettera al ministro della Cultura Giuli, il presidente in pectore dell’istituzione toscana chiede una sollecita decisione per il futuro del Museo GInori.