Edek Osser
Leggi i suoi articoliQuello del 13 novembre scorso a Roma è stato il primo incontro pubblico del ministro Dario Franceschini con i venti direttori dei maggiori musei italiani vincitori del concorso internazionale del 2014: un evento poco «scientifico», forse, e molto mediatico. La Sala Ottagona delle terme di Diocleziano, l’ex Planetario di Roma, ha accolto tanti dirigenti del Mibact e giornalisti di stampa e tv.
I venti direttori (più Massimo Osanna, direttore di Pompei; assente il direttore del Colosseo, non ancora nominato in attesa degli esiti del bando internazionale, che pure è inserito in tutti i prospetti relativi ai visitatori; cfr. tabelle in questa pagina) hanno stentato a condensare i loro due anni di attività nei 6-8 minuti assegnati a ciascuno, aiutandosi con la proiezione di dati e immagini che ciascuno aveva preparato secondo uno schema deciso dal Ministero: risultati raggiunti, problemi irrisolti, programmi futuri.
I primi risultati
Durante la veloce passerella durata oltre 3 ore, ciascuno ha così potuto soltanto fare un frettoloso accenno alla propria attività. Molto citate l’attività scientifica, didattica, di formazione, i restauri compiuti, le mostre organizzate, i rapporti con altri musei ecc. Questo rispondeva ai tanti critici che da tempo accusano il Mibact e la sua riforma di aver puntato soprattutto a fare cassa nei grandi musei anche a costo di trasformarli in «mostrifici» o addirittura in «luna park», pur di raggiungere risultati da esibire come trofei del successo. Quindi poca enfasi, nel tempo risicato concesso a ciascuno, per i dati molto positivi (quasi per tutti) sul numero dei visitatori e degli incassi.
Ancora irrisolti
In realtà sono proprio quei dati a essere comunque in evidenza. Nessuna indicazione e solo pochi accenni sono venuti dai direttori sui tanti problemi ancora aperti e irrisolti dopo la riforma del Mibact. È sembrato proprio che la politica del Ministero fosse concentrata sui musei maggiori mentre è rimasto in ombra lo stato di profondo disagio di gran parte del nostro «museo diffuso», quello fatto di piccole istituzioni, non soltanto tra i 400 musei statali ma anche tra le migliaia che dipendono dalle amministrazioni locali o sono di proprietà di fondazioni e di privati, e che dovrebbero «fare sistema» con quelli dello Stato per riuscire a emergere. Nel suo intervento conclusivo, Franceschini ha definito il rendiconto dei direttori «entusiasmante» e il percorso compiuto in due anni «enorme». Le cifre che riguardano i grandi musei gli danno ragione.
12 milioni in 4 anni
Il dato globale, alla fine del 2016, dice che siamo passati dai 38 milioni di visitatori del 2016 ai 45,5 del 2016 e lo stesso Franceschini ha annunciato che «alla fine del 2017 saremo vicini ai 50 milioni, con un aumento di 12 milioni in 4 anni»; il ministro ha poi osservato che «la domenica gratuita non ha aumentato il numero assoluto dei visitatori che non pagano perché si è compensata, purtroppo, con il numero degli over 65 che hanno dovuto pagare». Si registra quindi anche «una forte crescita degli incassi» che per il 2016 hanno raggiunto i 175 milioni totali e saranno circa 200 per il 2017. Ai musei autonomi gli incassi, è bene ricordarlo, restano in misura dell’80%, mentre il restante 20% va al «fondo di solidarietà», cioè ai musei statali minori, riuniti nei Poli Regionali.
Paradosso: ci sono i soldi, non chi li spende
Tra le osservazioni finali di Franceschini spicca, tuttavia, un altro dato: «Lo Stato, ha detto, ha messo nei musei statali circa 1 miliardo dei 3 investiti nei beni culturali». E a questo punto il ministro ha dovuto affrontare uno dei capitoli più spinosi che minaccia il successo della riforma: quello di un personale ampiamente sotto organico. Non parliamo soltanto di custodi, ma soprattutto della drammatica carenza di funzionari tecnici capaci di spendere il denaro e quindi di attuare le complesse procedure dei progetti e degli appalti pubblici. Questo è dunque il paradosso: ora i soldi ci sono, i grandi musei sono diventati ricchi ma le gare per gli appalti sono in grave ritardo. Che cosa propone allora Franceschini? Intanto ha sottolineato di sapere bene che «il buco più grande è quello del personale, che riguarda tutta la Pubblica Amministrazione, anche se siamo usciti dalla fase in cui sembrava che il problema fosse soltanto quello di ridurlo. Oggi è il momento di portare energie nuove, con professionalità elevate, competenza ed entusiasmo». Il concorso per nuovi funzionari del Ministero, ha affermato, non risolverà il problema anche se i nuovi assunti saranno 1.000 e non più 800 perché la nuova cifra è stata inserita nella Legge di stabilità in corso di approvazione. «Di questi, ha detto, circa 300 sono destinati ai musei».
Diventeranno fondazioni?
Ormai il nodo del personale è il cuore del problema e Franceschini si chiede: «Conviene che il personale resti dello Stato e assegnato ai singoli musei o che anche il personale diventi espressione di ogni singolo museo?». Per ora il ministro non dà risposte. Alcune indicazioni arrivano dai fatti: la crescita esponenziale di Ales, la società del Mibact che ha incorporato Arcus e che ormai mette a disposizione anche professionisti qualificati, oltre a gestire, ora, anche i fondi in crescita dell’ArtBonus. È sul tavolo anche la proposta (avanzata da Mauro Felicori) di trasformare i grandi musei in fondazioni, che includano anche musei minori e privi di autonomia, perché si possa almeno utilizzare in vari modi personale esterno a termine. Sullo sfondo, il grande problema non risolto del rapporto tra Stato e imprenditoria privata, del quale fa parte anche l’annoso ritardo delle gare per i «servizi al pubblico».
Altri articoli dell'autore
Il mausoleo dedicato al «più sanguinario assassino del colonialismo italiano» appena fuori Roma è criticato da molti, ma rimane
Si dà la precedenza agli oggetti per cui sono arrivate le richieste dagli etiopi, per ora senza grandi successi
L’eccidio e saccheggio di Debre Libanos in Etiopia fu «il più grave crimine dell’Italia». Oggi con difficoltà si cerca di rimediare all’«amnesia collettiva» che ha cancellato la memoria dell’ordine di sterminio illimitato per il quale il colonialismo italiano si macchiò dell’infamia più vergognosa. Ora si impone la complicatissima ricerca di opere e oggetti razziati o ricevuti in dono, andati dispersi. Dove sono?
Era il marzo 1974 quando dagli scavi della necropoli sarda affiorarono 16 pugilatori, 6 arcieri e 6 guerrieri: 44 sculture in frammenti. Stanziati ora 24 milioni di euro per nuovi cantieri e ricerche nella penisola del Sinis