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Stregozzi restaurati, inferni restituiti

Luana De Micco

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Il 13 febbraio si aprirà la mostra del cinquecentenario della morte di Bosch: la diagnostica delle opere porta nuove scoperte e gli studiosi attribuiscono al pittore un disegno sino ad ora «sospetto»

È iniziato il conto alla rovescia per la grande retrospettiva «Hieronymus Bosch. Visioni di un genio», in programma dal 13 febbraio all’8 maggio al Noordbrabants Museum di ’s-Hertogenbosch nei Paesi Bassi, città natale dell’artista nota anche con il nome Den Bosch, da cui Jheronimus van Aken derivò il suo nome d’arte. È qui infatti che furono realizzati i 20 dipinti (tavole e trittici) e i 19 disegni che saranno riuniti nella più grande mostra finora dedicata all’artista (1450 ca-1516), evento culmine della serie di appuntamenti organizzati per celebrarne il cinquecentenario della morte.

Com’è prevedibile, un evento di tal genere richiede anni di preparazione e soprattutto una preliminare valutazione dello stato conservativo delle opere, custodite in musei europei (Prado di Madrid, Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, Louvre di Parigi, Gallerie dell’Accademia e Palazzo Grimani di Venezia) e americani (Metropolitan Museum di New York e National Gallery of Art di Washington). Da qui, la grande ricerca internazionale di cui motore e finanziatore è il Brcp (Bosch Research and Conservation Project), che ha coordinato un gruppo internazionale di storici dell’arte, restauratori e scienziati.

A Venezia, dove sono conservate tre tavole di Bosch, nel maggio del 2013 è stato firmato un accordo tra l’allora soprintendente del Polo Museale Veneziano, Giovanna Damiani, e Paul Rupp, presidente del Brcp. Il restauro delle tre opere veneziane, documentate a Palazzo Grimani già nel 1521 come parte della collezione del cardinale Domenico Grimani, è quindi potuto iniziare nel settembre del 2013 nel laboratorio della Misericordia della Soprintendenza, dove sono stati trasportati il «Trittico degli eremiti» e il «Trittico della santa Liberata» (entrambi conservati alle Gallerie dell’Accademia) e le quattro tavole dipinte a olio («La caduta dei dannati», «L’Inferno», «Il Paradiso terrestre» e «L’ascesa all’Empireo») che compongono il polittico delle quattro «Visioni dell’Aldilà» (esposto a Palazzo Grimani). Il progetto di restauro è stato affidato a Maria Chiara Maida, tra i pochi professionisti rimasti in organico alla Soprintendenza, che lo ha condiviso con Matthijs Ilsink.

«Oltre a questo costante lavoro di coordinamento, precisa la Maida, va sottolineato l’aspetto di formazione dei restauratori, per il quale la Getty Foundation ha investito 145mila euro nel 2013». Tra le professionalità locali, Giulio Bono (che la competenza se l’è fatta sul campo, in Olanda, sui dipinti fiamminghi) ed Erika Bianchini, affiancati da Silvia Bonifacio e Barbara Bragato.

Naturalmente preliminari sono state le indagini, finanziate da Brcp, a riflettografia infrarossa (Ir) e con la fotografia digitale ad altissima risoluzione. «Grazie a questa tecnica, precisa la Maida, nei due trittici si sono potute distinguere le abrasioni, con perdita di colore, dai buchi, in cui la materia pittorica è assente. I due diversi casi richiedono interventi di restauro differenti». Si è inoltre potuto ricostruire, con esattezza, la forma dello strano naviglio nella tavola di santa Liberata, nella quale sono stati individuati anche pentimenti: le figure dei due committenti sono state cancellate e sostituite da altre, per mano dello stesso Bosch, a parere di Giulio Bono, o quantomeno della sua bottega.

Nel «Trittico degli eremiti», il san Gerolamo centrale era inizialmente di dimensioni maggiori, successivamente ridotte per mantenere le proporzioni con gli altri due santi. La prima fase dell’intervento ha riguardato le cornici in rovere, secondo la tradizione nordica, il cui stato conservativo si è rivelato soddisfacente. Ottimo anche lo stato conservativo delle «Visioni dell’Aldilà», secondo la Maida da ritenersi due altaroli portatili che non presuppongono, come invece ipotizzato da alcuni studiosi, l’esistenza di una pala centrale sul tema della Resurrezione. Si è intervenuti sui retri del dipinto, di colore rosso porpora e verde, con elegante effetto marmorino.

Più complesso il lavoro per i due trittici: molto ammalorato, nella parte centrale, quello degli eremiti; migliori le condizioni di quello della santa. La prima operazione, per entrambi, è consistita nella pulitura e rimozione delle vernici preesistenti, poi si è passati alla fase più delicata, quella di far emergere, strato per strato, la pellicola pittorica originale, cercando di ridurre le interferenze dovute alle lacune e alle abrasioni.

Il risultato, ora visibile, è stato il recupero di dettagli prima poco leggibili, come la lavandaia che risciacqua i panni (nel trittico della santa) o, in quello degli eremiti, gli «stregozzi» (come vennero definiti dal Boschini, nel 1664), cioè quelle magiche apparizioni fantastiche evocate dalla visionarietà di Bosch. Prima di partire per ’s-Hertogenbosch le tre opere veneziane sono esposte alle Gallerie dell’Accademia di Venezia dal 15 gennaio al 7 febbraio.  

È pronta a raggiungere il Noordbrabants Museum anche la «Nave dei folli» (1494 ca), la sola opera di Bosch conservata al Louvre e che per la prima volta, da quando nel 1918 è stata donata al museo da uno dei suoi conservatori, Camille Benoit, che probabilmente l’aveva acquisita all’inizio del secolo scorso sul mercato dell’arte parigino, è stata sottoposta a un profondo intervento di restauro.

Della «vita» anteriore del quadro non si sa nulla. Il restauro, realizzato da Agnès Malpel nei laboratori del Centre de recherche et de restauration des Musées de France, che si trova in un’ala del palazzo del Louvre, è durato un anno. La tavola in legno di quercia (58x32,5 cm) che costituisce la struttura dell’opera è solida. Era soprattutto necessario eliminare la spessa patina scura che si era formata nel tempo, che oscurava i colori e alterava la lettura della tavola.

Il restauro ha confermato un’ipotesi avanzata in modo ricorrente dagli esperti: ossia che il quadro non è un’opera autonoma, ma appartiene a un piccolo polittico sul tema dei peccati capitali che è poi stato smembrato. La parte inferiore, dedicata alla lussuria e alla gola («Allegoria dei piaceri»), è conservata alla Yale University Art Gallery di New Haven e non ci sono dubbi sul fatto che il frammento del Louvre, raffigurante un’imbarcazione di golosi alla deriva, ne fosse il completamento. Altre due parti del polittico sono conservate alla National Gallery of Art di Washington («Morte di un avaro») e al Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam («Venditore ambulante», che probabilmente si doveva trovare sul retro). Manca il pannello centrale.
Dopo ’s-Hertogenbosch, la «Nave dei folli» raggiungerà il museo del Prado di Madrid dove la mostra sarà allestita dal 31 maggio all’11 settembre.

Tra le novità della mostra, un disegno di recente attribuzione. Si tratta di un foglio un tempo considerato troppo nello stile di Hieronymus Bosch per essere di mano dell’artista, ora promosso al rango di opera autentica del maestro olandese. «Paesaggio infernale» raffigura persone che vengono sbranate da un mostro famelico nei pressi di un mulino ad acqua e minuscole figure a cavalcioni di una larga lama piantata nella testa di un uomo infilato in un cesto.

Il disegno era stato attribuito alla bottega dell’artista prima di essere esaminato da un team del Bosch Research and Conservation Project. Un collezionista privato europeo aveva acquistato l’opera all’asta nel 2003 e sebbene fosse riprodotta nel catalogo del 2012 dei disegni di Bosch di Fritz Koreny, pochi studiosi vi avevano accesso non essendo esposto al pubblico. Matthijs Ilsink della Radboud Universiteit di Nimega, uno storico dell’arte che coordina il progetto, ha visto l’opera nel libro di Koreny e ha ritenuto meritasse un esame più approfondito.

«Non è soltanto un “pastiche ben riuscito”, come alcuni l’hanno definito. Di questi ne ho visti parecchi e il 99% delle volte non sono molto stimolanti, dice Ilsink. Questo è molto, molto bello». Anche la tesi secondo cui l’opera sarebbe «troppo Bosch per essere di Bosch» non regge, dato che altri disegni ugualmente «boschiani», tra i quali «L’uomo albero» (1505 ca) all’Albertina di Vienna, sono considerati opere autentiche.

Per documentare l’opera sono state utilizzate la riflettografia infrarossa e la macrofotografia digitale ad alta risoluzione, a luce infrarossa e visibile. La carta, la calligrafia e gli inchiostri sono stati comparati con quelli di disegni di importanti collezioni di Berlino, Vienna, Parigi e Rotterdam. I raggi x hanno rivelato collegamenti tra le figure di «Paesaggio infernale» e quelle nascoste tra gli strati pittorici di altre opere. Per esempio, l’uomo nel cesto è simile a uno in un disegno esistente sotto la stesura definitiva dell’«Ala dell’Inferno» nel celeberrimo «Giardino delle delizie» (1500-05), al Prado di Madrid.

Ilsink sostiene che Bosch cambiava spesso idea durante il lavoro e che quindi i suoi dipinti sono ricchi di pentimenti, resi visibili dalle attuali tecnologie: «Qualcuno che avesse voluto creare un pastiche delle sue opere non avrebbe avuto accesso a queste versioni precedenti», continua Ilsink. Un’altra attribuzione riguarda il polittico «Il Giudizio finale» o «Il Giudizio di Bruges», dalla città belga in cui l’opera è esposta presso il Groeningemuseum. Gli esperti del Bosch Research and Conservation Project hanno infatti deciso che non si tratta, come sin qui creduto, di un’opera di bottega. Progetti di ricerca su questa scala spesso comportano anche delle espunzioni rispetto alla precedente catalogazione.

Il team, ad esempio, ritiene che «La salita al Calvario (o Cristo portacroce)» (1510-16) al Museum voor Schone Kunsten di Gand, che è descritto nel sito web dell’istituzione come «probabile opera tarda di Hieronymus Bosch», sia di un seguace.

Luana De Micco, Lidia Panzeri, Emily Sharpe


Luana De Micco, 04 gennaio 2016 | © Riproduzione riservata

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