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Luana De Micco
Leggi i suoi articoliLa sentenza sul caso Wildenstein è stata un inaspettato colpo di scena: nella sorpresa generale, il 12 gennaio, i giudici francesi hanno infatti assolto gli eredi della famiglia di mercanti d’arte e i loro consiglieri che erano accusati di una frode di diversi milioni di euro ai danni del fisco francese e di riciclaggio di denaro sporco.
Contro Guy Wildenstein, presidente della Wildenstein & Co con sede a New York, il pubblico ministero Monica d’Onofrio aveva richiesto nell’ottobre 2016 quattro anni di detenzione (due dei quali con la condizionale) e una multa di 250 milioni di euro.
Il miliardario franco-americano di 71 anni era accusato di aver celato al fisco gran parte dell’immensa eredità ricevuta dal padre, Daniel Wildenstein, alla sua morte, nel 2001, sottostimando in questo modo le tasse di successione dovute allo Stato francese. Un’eredità di circa 1,1 miliardi di dollari in beni immobiliari di lusso e una collezione di oltre 2.500 opere d’arte.
Dipinti di Fragonard, Bonnard, anche un’opera di Caravaggio, «Il suonatore di liuto», sono stati sparsi in vari caveau nel mondo attraverso dei trust registrati nei paradisi fiscali. Tra gli altri imputati figuravano anche il nipote di Guy Wildenstein, Alec Junior, e la matrigna di questo, Ljuba Stupakova, vedova del fratello di Guy, Alec, morto nel 2008.
Il presidente del tribunale, Olivier Géron, ha spiegato la sentenza che, ha ammesso, rischiava di restare «incompresa». Secondo il magistrato se l’intenzione di dissimulazione da parte del clan Wildenstein è «palese», le troppe «lacune» nell’inchiesta e i limiti legislativi in materia di lotta alla frode fiscale (un primo testo sulla fiscalità dei trust è solo del 2011), non permettono di formulare una condanna.
Il giudice ha anche rimproverato gli inquirenti per non aver indagato in modo più approfondito nei paradisi fiscali per poter dimostrare il carattere di facciata dei trust sospetti. Il 13 gennaio, comunque, la Procura francese ha annunciato un ricorso in appello.
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