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Maria Vittoria Marini Clarelli, da marzo 2019 Sovrintendente capitolina ai beni culturali di Roma Capitale

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Maria Vittoria Marini Clarelli, da marzo 2019 Sovrintendente capitolina ai beni culturali di Roma Capitale

Nuovo rapporto con il pubblico per i musei di Roma

Maria Vittoria Marini Clarelli, Sovrintendente capitolina:«Le crisi sono momenti di svolta, di cui bisogna cogliere le potenzialità»

Guglielmo Gigliotti

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Roma. Maria Vittoria Marini Clarelli è da marzo 2019 Sovrintendente capitolina ai beni culturali di Roma Capitale. Tra l’altro, dal 2004 al 2014 ha diretto la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma. Musei e loro gestione è territorio di sua specializzazione, anche in momenti di crisi come quella che stiamo vivendo.

Musei Capitolini, Centrale Montemartini, Museo Barracco, Gam e Ara Pacis sono solo alcuni dei musei cittadini di cui lei è Sovrintendente: cosa significa gestire una crisi così grande e inedita, e dover rispondere di musei così importanti, ma chiusi?
Le crisi sono momenti di svolta, di cui bisogna cogliere le potenzialità. Una delle sorprese di questa emergenza è stata la constatazione che eravamo molto più predisposti di quanto pensassimo alla cosiddetta trasformazione digitale. Il rallentamento imposto ad alcune attività ha anche permesso di rivalutare quel rapporto qualità/tempo che la fretta di giungere al risultato ha reso quasi opzionale in un settore come quello del patrimonio culturale, in cui invece servono studio, progettazione, revisione, per ponderare, approfondire e curare. Il nostro è però un lavoro multidisciplinare, di gruppo e le riunioni via teams o zoom non sostituiscono il rapporto diretto. Soprattutto, questa crisi ci ha privato del pubblico.

Come avete reagito, quali misure sono state prese?

In termini organizzativi si è trattato di garantire da subito i servizi essenziali, per evitare che i musei oltre ad essere chiusi fossero incustoditi, e di mantenere i rapporti con i cittadini, sia continuando a rendere i pareri edilizi e di occupazioni di suolo pubblico previsti dalla Carta per la qualità del Piano regolatore generale di Roma, sia ampliando l’offerta di contenuti digitali sui musei, i monumenti e i siti, mentre ci attrezziamo per riaprirli in sicurezza.

Non pensa che, oltre alla pur ricca e necessaria offerta di contenuti e intrattenimenti in ordine digitale da parte dei musei, sia necessario anche qualcosa di più creativo e originale?

La lezione della pandemia deve servire a trovare nuove forme di rapporto con i pubblici, soprattutto con quelli di prossimità. Per esempio, nei prossimi mesi coinvolgeremo in forme di indagine e anche di progettazione i possessori della MIC Card, i residenti che acquistano a cinque euro una carta d’accesso annuale ai musei di Roma. Inoltre in momenti come questi emerge con maggior forza il rapporto fra musei e territorio, specie in città che dispongono di un immenso patrimonio all’aria aperta.

La crisi è un’occasione anche per ripensare parametri e principi generali?

Nel pensare a come riaprire i musei occorre trovare nuovi modi per conciliare accessibilità e responsabilizzazione dei visitatori, coinvolgimento della cittadinanza nella gestione e autorevolezza scientifica dell’istituzione, non discriminazione fra fasce di utenza e rispetto della diversità delle esigenze. La pandemia ha anche messo drammaticamente in evidenza il tema della vivibilità della terra, con riferimento all’ambiente, allo sviluppo sostenibile, alla solidarietà sociale. Sono temi che le strutture deputate alla cura del patrimonio culturale non possono sottovalutare.

La fruizione di mostre e musei ha vissuto negli ultimi vent’anni un incremento progressivo d’ordine soprattutto quantitativo. Una ricollocazione in contesti risalenti, per esempio, solo agli anni ’70 del secolo scorso, con un recupero di pratiche e modi della gestione culturale del passato, sarebbe una drammatica regressione?

Il distanziamento sociale imporrà almeno inizialmente il contingentamento delle presenze contemporanee, ma forse è l’occasione per liberarsi dalla schiavitù della coda in entrata. Aumentare gli orari di apertura, attirare l’attenzione su luoghi meno noti, collaborare fra istituzioni per ampliare e differenziare l’offerta, fornire sussidi di preparazione e metabolizzazione alla visita sono mezzi per accrescere la qualità dell’esperienza. L’ attuale “astinenza da patrimonio culturale” potrebbe anche accrescere il senso del rispetto, della cura e anche della proprietà dei beni comuni.

Guglielmo Gigliotti, 16 maggio 2020 | © Riproduzione riservata

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