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Wangechi Mutu, «The Seated I», 2019

Courtesy of the Artist and Gladstone Gallery. The Metropolitan Museum of Art, Photo: Joseph Coscia, Jr.

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Wangechi Mutu, «The Seated I», 2019

Courtesy of the Artist and Gladstone Gallery. The Metropolitan Museum of Art, Photo: Joseph Coscia, Jr.

Le donne fantasmatiche di Wangechi Mutu

La mostra alla Galleria Borghese si presenta come un poema in cui l’artista afroamericana ha puntato più sul nascondimento delle opere che sulla loro rivelazione evidente

Ancora una volta, la Galleria Borghese di Roma si offre come terreno di confronto e relazione tra la storia e il contemporaneo. Questa volta, a cercare relazioni o contrasti con i capolavori riuniti dal cardinale Scipione Borghese nel Casino fatto edificare a inizio Seicento nei possedimenti di famiglia extraurbani, oggi noti, appunto, come Villa Borghese, è Wangechi Mutu, nella mostra «Poemi della terra nera», aperta dal 10 giugno al 14 settembre e curata da Cloé Perrone. Nata nel 1972 in Kenya, Mutu si è trasferita a fine anni Novanta a New York, assurgendo a stella del firmamento dell’arte africana contemporanea. Rappresentata dalle gallerie di Barbara Gladstone di New York e Victoria Miro di Londra, ha esposto in molti musei del mondo. Adesso è l’ora di Roma, in uno dei gioielli della storia del collezionismo. 

Nel recente passato la Galleria Borghese, diretta da Francesca Cappelletti, ha già ospitato, tra le opere di Caravaggio, Bernini, Barocci e Tiziano, quelle di Giuseppe Penone nel 2023 e quelle di Louise Bourgeois nel 2024. Penone portò i temi della materia e della natura, Bourgeois quelli dell’inconscio, Wangechi Mutu si concentra sul tema della donna, della sua identità, delle sue forze e delle sue contraddizioni. È, questa, l’area tematica primaria dell’artista afroamericana, e ad essa ha dedicato numerosi cicli pittorici e opere scultoree, collage e video. Nel Casino Borghese è preminente la scultura in bronzo, anche se altri lavori comprendono legno, piume, terra, carta e acqua. Le opere sono distribuite nelle sontuose sale, ma anche all’esterno, sulla facciata e nei Giardini segreti, con la fitta presenza di visionarie configurazioni di donne-macchine-vegetali, nel rispetto di quella capacità immaginativa, propria della Mutu, di concepire ibridi, dal valore simbolico e neomitologico. Tra le opere in mostra figurano «Seated 1» e «Seated 2», moderne cariatidi realizzate per le nicchie della facciata del Metropolitan Museum di New York, dove hanno trovato collocazione per quasi tutto il 2019. «Nyoka» è invece un cesto contenente un serpente avvolto nelle sue spire. Seguono le opere «Heads in a Basket», «Musa» e «Water Woman», tra altre. «Suspended Playtime», «Ndege», «First weeping head» e «Second weeping head» sono opere che, in conformazione a gruppo, o singolarmente, pendono dal soffitto. Le opere bronzee e quelle polimateriche trovano una sintesi nel film «The End of Eating Everything», realizzato nel 2013 in collaborazione con l’artista discografico Santigold. La mostra si configura così come un poema, il «Poema della terra nera» del titolo, in cui raccontare storie di donne tra il vero e il sogno. La mostra prosegue all’American Academy in Rome, dove è esposta l’opera bronzea «Shavasana 1», costituita dall’immagine di una donna sdraiata e coperta con stuoia di paglia intrecciata: il titolo fa riferimento alla posa yoga del totale rilassamento, in posizione supina, con le gambe e le braccia abbandonate e gli occhi chiusi. 

Wangechi Mutu, «Nyoka», 2022. Courtesy of the Artist and Gladstone Gallery

«Il progetto espositivo è nato quattro anni fa per volontà della direttrice della Galleria Borghese, Francesca Cappelletti, che mi chiamò in qualità di curatrice, racconta Cloé Perrone. Gli interventi strutturali resi possibili dai fondi Pnrr hanno procrastinato l’appuntamento».

Com’è stato l’approccio dell’artista afroamericana a uno spazio così connotato e così ricolmo d’arte?
Wangechi Mutu, osservando il contesto, decise subito che avrebbe lavorato su presenze fantasmatiche, cioè più sul nascondimento delle opere che sulla loro rivelazione evidente. Le opere, infatti, non sono subito chiaramente percepibili, di primo acchito. Questo è il caso, per esempio, delle opere che pendono dal soffitto. Mutu ha voluto ottenere in questo modo l’effetto di un galleggiamento orizzontale, che dialogasse con la fondamentale verticalità degli ambienti e delle sculture.

E per lei, che cosa ha significato la sfida con un luogo così complesso e stratificato?
I limiti imposti dal museo aiutano la creatività perché ti obbligano a raggiungere gli obiettivi in altri modi.

Qual è il significato intrinseco di questa mostra?
L’ha scovato Wangechi Mutu venendo a studiare gli spazi. Si è resa conto che la terra dei Giardini segreti della Galleria Borghese ha lo stesso colore scuro della terra kenyota. Di qui la scelta del titolo. Il significato intrinseco è, quindi, nel legame sotterraneo tra i motivi fondamentali dell’arte di Mutu e i principi espressi in molte opere del museo: il mito, la metamorfosi, la fluidità dell’acqua, la poesia. È una mostra che vuole unire, non separare.

Una vista dell’installazione «Suspended Playtime», 2012, di Wangechi Mutu alla Staatliche Kunsthalle Baden-Baden, Germania. Courtesy of the Artist and Gladstone Gallery

Guglielmo Gigliotti, 09 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Le donne fantasmatiche di Wangechi Mutu | Guglielmo Gigliotti

Le donne fantasmatiche di Wangechi Mutu | Guglielmo Gigliotti