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L'opera di Domenico Bianchi in mostra

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L'opera di Domenico Bianchi in mostra

Le stanze aragonesi della pittura

Una mostra a Palermo illustra necessità e varietà di un linguaggio dell'arte oggi

Guglielmo Gigliotti

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Palermo. Si fa presto a dire pittura. Scandagliare il senso di questa parola oggi è l’intento di Andrea Bruciati ed Helga Marsala, curatori, presso il Villino Favaloro di Palermo, della mostra «Le stanze d’Aragona. Pratiche pittoriche in Italia all’alba del nuovo millennio», aperta dal 12 settembre al 14 novembre.
Con un titolo che fa riferimento agli Aragona, che nel Quattrocento crearono e governarono il Regno delle Due Sicilie, rendendolo polarità della vita politica e culturale d’Europa, la mostra, pensata come «regno aragonese» idealmente senza tempo della pittura, si impegna di dar conto dei tanti mondi che costellano, nell’ultimo quindicennio, l’universo del pittorico. In mostra i maestri si mischiano ad artisti affermati e a giovani leve, nel tessuto libero delle trame di un linguaggio che cambia pelle ma non natura, e forse neanche centralità. Claudio Verna, Marco Tirelli, Stefano Arienti, Domenico Bianchi, Nunzio, Maria Morganti, Lucio Pozzi, Renata Boero espongono così assieme a Giuseppe Adamo (Alcamo, Palermo, 1982), Paola Angelini (San Benedetto del Tronto, 1983), Jacopo Casadei (Cesena, 1982), Antonio Catelani (Firenze, 1962), Manuele Cerutti (Torino, 1976), Paolo Chiasera (Bologna, 1978), Stefano Cumia (Palermo, 1980), Matteo Fato (Pescara, 1979), Giulio Frigo (Arzignano, Vicenza, 1984), Gaia Fugazza (Milano, 1985), Anna Gramaccia (Perugia, 1980), Andrea Grotto (Schio, Vicenza, 1989), Tiziano Martini (Soltau, Germania, 1983), Andrea Mastrovito (Bergamo, 1978), Cristiano Menchini (Viareggio, 1986), Lorenzo Morri (Jesi, 1989), Paolo Parisi (Catania, 1965), Alessandro Pessoli (Cervia, 1963), Barbara Prenka (Gjakova, Kosovo, 1990), Riccardo Previdi (Milano, 1974), Pietro Roccasalva (Modica, 1970), Alessandro Roma (Milano, 1977), Giovanni Sartori Braido (Mestre, Venezia, 1989), Vito Stassi (Palermo, 1980), Massimo Stenta (Trieste, 1991), Sulltane Tusha (Durazzo, Albania, 1988), Marco Useli (Nuoro, 1983), Serena Vestrucci (Milano, 1986). La mostra è il terzo appuntamento di un percorso sviluppatosi nell’anno in corso negli ambienti della RizzutoGallery di Palermo, con altre due mostre sempre a tema pittorico. Due stazioni prima di prendere il largo, per una navigazione a bussola variabile. Spiegano i due curatori: «L’astrazione guida la traiettoria del progetto, ma non la esaurisce. Sono così presenti artisti per cui l’elaborazione del mondo passa attraverso forme fluide, geometriche, ritmiche, gestuali o segniche, analitiche o sintetiche. Artisti che al contempo superano, in molti casi, il più algido formalismo, giungendo a un’epifania visiva fatta di vibrazioni e di scambi osmotici tra la natura, il tempo e lo spazio, tra gli oggetti e le loro tracce, tra la superficie come dimensione epidermica e il processo pittorico come elaborazione alchemica, cosmologica, percettiva o spirituale. Astrazione radicale, dunque, ma anche simbolico-formale. Parimenti, il lavoro intorno all’astrazione incontra singole ricerche che includono riferimenti alla figurazione, ma sempre in una chiave fortemente concettuale, lontana dalla narrazione, dal realismo o dal racconto fantastico. La pittura, infine, è letta qui nella sua forma più rigorosa, persino tradizionale (una pittura-pittura), ma anche nell’esperienza di ibridazione con altri linguaggi – dalla scultura all’architettura, passando per il video e l’installazione – ponendosi più che altro come attitudine, vocazione, orientamento dello sguardo e del pensiero».

L'opera di Domenico Bianchi in mostra

Guglielmo Gigliotti, 04 settembre 2015 | © Riproduzione riservata

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Le stanze aragonesi della pittura | Guglielmo Gigliotti

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