Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliGiunge al termine il restauro, finanziato dalla Fondazione Friends of Florence, attraverso il dono di John e Kathe Dyson e di Alexander Bodini Foundation, di una delle opere più intriganti del Cinquecento italiano: la «Deposizione» dipinta nel 1521 da Rosso Fiorentino e conservata nella Pinacoteca civica. Un intervento deciso da Andrea Muzzi quand’era ancora soprintendente e avviato proprio due anni fa col coordinamento della Soprintendenza di Pisa e Livorno, del Comune e della Diocesi di Volterra, Parrocchia della Basilica Cattedrale. Ad operare sul dipinto, con le analisi diagnostiche svolte da Thierry Radelet, è stato Daniele Rossi con la sua équipe, composta da Gloria Verniani, Umi Toyosaki, Camilla Bartolozzi, Laura Amorosi, mentre Roberto Buda (Relart) ha avuto in cura il supporto ligneo, che presentava notevoli criticità.
Il restauro della parte pittorica, svolto con grande cura e sensibilità nel colmare le lacune e nei ritocchi, ha recuperato buona parte delle cromie, ed è stato un’occasione preziosa di conoscenza della peculiare tecnica esecutiva di Rosso, pittore diverso da Pontormo, al quale pure spesso è accostato come protagonista della vasariana «Maniera italiana» (artista che Daniele Rossi ben conosce per aver restaurato nel 2017-18 la Cappella Capponi nella chiesa di Santa Felicita a Firenze). Rosso predilige colori molto preziosi, come il giallo di arsenico orpimento col quale dipinge il bellissimo manto di una delle Pie donne ed anche in parte san Giovanni, ma che è soggetto più di altri a degrado; oppure l’albume di rocca, sale prezioso proveniente dalle cave di Volterra, usato per fissare i colori specie nelle stoffe o la lacca di garanza nella figura di Giuseppe di Arimatea; si trova inoltre l’impiego del vetro macinato (tipico della pittura veneta) per ottenere maggior brillantezza. L’artista raggiunge effetti di trasparenza straordinari alternando nella pittura a olio parti a stesura più liquida di colore ad altre più densa, a corpo. E sono proprio queste trasparenze che accentuano gli effetti fluttuanti delle vesti, ad esser maggiormente valorizzate dal restauro, così come l’anatomia del corpo di alcune figure, specie del giovane rivolto di schiena, di cui leggiamo le singole vertebre, trattato a cromie molto fredde.
Sul supporto (340x200 cm), composto da unione di cinque tavole di pioppo, Rosso aveva steso una preparazione a gesso impermeabilizzato con olio di lino, per disegnarvi direttamente sopra a carboncino, delineando col pennello le parti in ombra, a tratteggio. Anche nella pittura egli procede per tratti paralleli con un pennello finissimo, poi intreccia le linee, toglie e rimette il colore (con effetti talvolta quasi da trucco sbavato): «una pittura veloce, commenta Daniele Rossi, ma perché lui ben sa dove vuole arrivare!». E sono brani magistrali, ora molto ben leggibili, quelli del volto di Cristo con la barba e la bocca semiaperta, per non parlare di certe invenzioni compositive, quali la figura sulla scala a destra che cinge da dietro il corpo di Cristo e della quale intravediamo la testa scapigliata far capolino dietro la spalla di Gesù. Come indicava Carlo Falciani nella sua monografia su Rosso Fiorentino (edita da Olschki, Firenze 1996), proprio la scelta della pittura a tratteggio ci riporta ai precetti di Cennino Cennini e quindi a un voluto arcaismo che Rosso, per motivi legati alla sua poetica e al suo pensiero religioso, vicino ai seguaci di Savonarola, ricercava; scelte coerenti anche con la collocazione originaria dell’opera, in una cappella che aveva alle pareti gli affreschi trecenteschi di Cenni di Francesco, con un cielo peraltro assai simile a quello che Rosso pone a sfondo della sua tavola.
Dalle indagini diagnostiche sono emerse anche scritte a inchiostro ferrogallico, come fossero «post it» promemoria, a volte corrispondenti a esito finale, a volte no; per esempio, «biffo», sul perizoma di Cristo, ovvero una mescolanza di azzurro e lacca per ottenere il violetto (che ci riconduce ai precetti di Cennini); tuttavia «biffo» è annotato anche sulla veste del bambino, per la quale Rosso sceglierà invece altre cromie, come nel caso di «azurra», scritta che compare tra le ciocche bionde della testa di Maddalena.
Infine, i pentimenti, come quello che riguarda la posizione del gruppo di Maria con le Pie donne. Nel disegno iniziale Rosso raffigura la Vergine sorretta dalla donna col manto arancione alla sua destra, che la cinge saldamente con le braccia e la mano sotto il seno. Nel dipinto, invece, l’intreccio delle membra di Maria con quelle della donna scompare invece sotto il suo manto e sotto la veste dell’altra Pia donna in primo piano. In tal modo, sottolinea in un suo saggio Andrea Muzzi, Maria non appare più nell’atto di svenire, come nell’idea originale, ma solo profondamente addolorata: scelta che Muzzi suggerisce in linea con una tendenza emersa a seguito di discussioni svolte in seno all’ordine domenicano (cfr. Rosso Fiorentino al 1521: l’espressione del dolore di Maria ai piedi della croce nella Pala di Volterra in Nel giardino delle arti e delle scienze, Pisa, University Press, 2022). Un altro pentimento riguarda la gamba di Cristo pensata più stretta, e il piede, quasi trasparente, che non era presente nel disegno preparatorio. Così pure risulta aggiunto l’orecchio destro della figura rivolta di schiena, come una mezzaluna sottile che si staglia sul cielo; ottenuto a azzurrite e biacca (e non come potrebbe credersi a lapislazzulo), quel cielo muta d’intensità cromatica, variando dall’effetto quasi da tempesta nella parte alta, come nelle Sacre Scritture, alla maggior chiarezza in basso. Rossi ha qui scelto di non togliere del tutto alcune macchie di un fissativo dato in antico (pur avendo fatto alcune prove per cancellarle), perché quasi impercettibili a una veduta d’insieme, mentre ogni ulteriore passaggio avrebbe potuto alterare l’equilibrio generale: un rischio ricorrente, sottolinea Rossi, in ogni parte dell’opera. È inoltre più visibile e definito lo sbordare, tipico di Rosso, delle figure dai limiti del quadro, come la testa di San Giovanni Evangelista, dalla chioma fulva, autoritratto dell’artista.
Altri articoli dell'autore
Un restauro di tre anni finanziato dai Friends of Florence ha restituito leggibilità ai 53 dipinti a olio che nel progetto di Cosimo I dovevano illustrare «le cose del cielo e della terra» e all’eccezionale globo terrestre
Nel refettorio d’inverno del complesso di Santa Croce, per secoli sede dell’Inquisizione, una selezione di opere (tra cui un inedito tabernacolo di Taddeo Gaddi) celebra l’800mo anniversario dal miracolo
Partita dalla ceramica e confluita in intense sperimentazioni plastico-pittoriche, la ricerca dell’artista marchigiano è protagonista del percorso allestito nella Galleria il Ponte di Firenze
Nel Museo degli Innocenti di Firenze, accanto a opere di Monet e Renoir anche quelle di Courbet, Corot, Delacroix, Daubigny, Boudin, per illustrare il movimento al completo, non solo con grandi avvenimenti e grandi nomi