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Due opere di Gal Weinstein. A sinistra, «Untitled», 2012-2017. A destra, «Untitled», 2019.

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Due opere di Gal Weinstein. A sinistra, «Untitled», 2012-2017. A destra, «Untitled», 2019.

Le metamorfosi di Gal Weinstein

L’artista israeliano ospite della galleria di Riccardo Crespi

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

L’artista israeliano Gal Weinstein (nato a Ramat Gan nel 1970, vive e lavora a Tel Aviv) torna in Italia per la prima volta dopo l’ultima Biennale di Venezia, dove ha rappresentato il suo Paese con la monumentale installazione «Sun Stand Still».

L’occasione è la personale «Echo», aperta da stasera fino al 4 maggio, terza sua mostra da Riccardo Crespi, che scaturisce proprio da quell’esperienza, sviluppandone alcuni princìpi. Al centro della sua indagine Weinstein pone il concetto di genius loci, lo «spirito del luogo» che connota ogni territorio, frutto dell’intreccio delle relazioni ambientali e sociali.

Come scrive nel suo testo in catalogo Micol Di Veroli, «il luogo non è una mera localizzazione, bensì uno spirito vivente con una precisa struttura ricca di sfaccettature, che solo riunite assieme possono descriverlo in modo totalizzante. Le attività umane, per contro, modificano continuamente i paesaggi».

Tutto accade (come sempre nei lavori di Weinstein) sotto il segno di un continuo processo di dissoluzione, di decomposizione e degrado dei materiali che, naturali o artificiali che siano, alludono alla transitorietà tanto della condizione umana quanto del mondo circostante.

«Ricreo immagini naturali con mezzi artificiali e uso materiali organici per creare immagini artificiali», spiega Weinstein, che a Venezia aveva realizzato, tra l’altro, una sorta di veduta a volo d’uccello di campi coltivati con chicchi di caffè lasciati in balìa dell’aggressione delle muffe.

Nei lavori ora esposti si serve di lana d’acciaio e di bronzo, di carborundum (carburo di silicio) ma anche di lana, di gesso, di muffe, che creano un universo brulicante di energie e al tempo stesso votato alla morte, metafora trasparente, ancora una volta, della nostra fragile condizione.

Due opere di Gal Weinstein. A sinistra, «Untitled», 2012-2017. A destra, «Untitled», 2019.

Ada Masoero, 28 febbraio 2019 | © Riproduzione riservata

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