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La Toscana salva il suo paesaggio

Stefano Miliani

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Firenze. La Toscana ha il suo Piano sul paesaggio. Dopo tanti rinvii, è stato votato quasi all'ultimo momento utile dal Consiglio regionale, nella serata di venerdì 27 marzo, perché il 28 marzo finisce la legislatura in vista delle elezioni amministrative a fine maggio o ai primi di giugno. Il piano ha fortemente rischiato di venire stravolto da un diluvio di emendamenti di una parte del Pd (nella stessa maggioranza di centrosinistra) o di venire affossato dai rinvii, ma, alla fine, l'intervento diretto del governatore Enrico Rossi e la riscrittura del testo insieme al ministro per i beni culturali Dario Franceschini, hanno permesso di promuovere l'impianto sostanzialmente fissato dall'assessore all'urbanistica Anna Marson. Due i punti più contestati e alla fine accolti dopo limature e riscritture: nessun via libera alle cave del marmo con lo stop a nuovi impianti sopra i 1.200 metri, vietati ampliamenti fissi entro 300 metri dal mare. Lo scontro è salito al grado massimo e per poco non saltava tutto. Neanche alla fine il clima si è pacificato né Marson sarà nella prossima giunta regionale. Con i 32 sì del centrosinistra e i 15 no del centro destra passa comunque l'idea di salvaguardare un paesaggio considerato a ragione tra i più belli, e redditizi perché amato dai turisti, pur se in molte zone non è più quella magnificenza tanto decantata e troppe edificazioni in zone ad alto rischio idrogeologico hanno avuto conseguenze nefaste e perfino tragiche. La battaglia è stata asprissima. Il sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni aveva avvertito con chiarezza a mezzo stampa: se il piano veniva stravolto il ministero non firmava e la co-pianificazione prevista dal Codice dei beni culturali andava a fari benedire. Chi voleva modificarlo ha tentato riscritture che, cambiando verbi e sostantivi, dietro l'ammorbidimento linguistico trasformavano molte prescrizioni in semplici raccomandazioni svuotandole di forza. Lo slogan adottato era la difesa dello sviluppo e dell'occupazione. E magari ha inciso l'avvicinarsi della scadenza elettorale. Sul fronte opposto oltre a 100mila firme di cittadini hanno difeso Marson e perfino la Cgil, che sul fronte del lavoro è quanto mai sensibile, si è schierata con l'assessore. Ricordando che a gennaio la Regione aveva raggiunto un'intesa con i viticoltori mentre quella con i cavatori si è poi rivelata illusoria (cfr. «Il Giornale dell'Arte» n. 349, gen. '15, p. 5), la dizione completa del documento è Piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico (in sigla, Pit).
Insieme alla Puglia (cfr «Il Giornale dell'Arte» edizione online, 19 gennaio '15, http://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/2015/1/122860.html), la Toscana è l'unica regione ad avere un piano simile e concordato con via del Collegio Romano. Di seguito, e semplificando, ecco quali sono stati i principali nodi da sciogliere.
Le cave di marmo
Il verdetto finale è il seguente: non si potranno aprire nuove cave sopra i 1.200 metri di altitudine (eccezion fatta per un paio di comunità locali); né si potranno «scapitozzare» le vette montuose. Per autorizzare nuove cave, far ripartire quelle dismesse, ampliare quelle attive (fino a un massimo del 30%, il documento originale vietava ogni ampliamento sopra i 1.200 metri) diventa obbligatorio verificare la compatibilità paesaggistica. È il capitolo più contestato dai cavatori e dalle imprese (il 90% circa degli impianti si trova sulle Apuane), dai consiglieri regionali, non solo del Pd, che hanno accolto le loro proteste, e il capitolo più difeso da molte associazioni ambientaliste per una volta coalizzate e unite senza dividersi in mille rivoli. I cavatori hanno sbandierato il marmo usato da Michelangelo come elemento storico e simbolico, pure se dal '500 è cambiato moltissimo: tra i soci di una grossa cava c'è la famiglia Bin Laden, buona percentuale del cosiddetto oro bianco oggi viene trasformata in bicarbonato di calcio diventando altro come, ad esempio, pasta per dentifrici. Non a caso Rossi ha raccomandato che il 50% del marmo estratto deve essere lavorato in loco e non altrove come, in buona parte, accade oggi.

Le coste
Su spiagge, arenili, dune, e comunque fino a 300 metri dal mare, vengono permesse nuove strutture a queste condizioni: purché removibili e temporanee (per un periodo più lungo rispetto alle versioni originarie del documento Marson); purché non impediscano a nessuno di arrivare al mare; purché non impermeabilizzino in modo definitivo il suolo. Chi vuole allargare strutture già presenti, alberghi o impianti sportivi, non può appunto toccare dune, spiagge, arenili. E chi vuole migliorarle per accogliere i turisti, sempre fuori da quei confini, può aumentare la superficie coperta al massimo del 10%.

Dal bosco all'agricoltura
Ben 200mila ettari di terreni diventati bosco e che un tempo erano usati per coltivare potranno tornare agricoli chiedendo ai rispettivi Comuni il permesso di reimpiantarci le coltivazioni originarie.

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Stefano Miliani, 28 marzo 2015 | © Riproduzione riservata

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