Redazione GdA
Leggi i suoi articoliOra che la riproducibilità tecnica di ogni opera d’arte è un dato acquisito, ora che il concetto di originalità è definitivamente scardinato dopo anni di pratiche appropriazionistiche in alcuni versanti dell’arte concettuale, Cornelia Badelita (1982), artista di origine rumena ma da decenni trapiantata a Torino, rimette in campo temi come l’autorialità, la citazione, la stessa riproducibilità attraverso la pratica pittorica.
«Dublu» (doppio), è il titolo di una personale allestita dal 27 maggio al 19 settembre presso la galleria Maurizio Caldirola Arte Contemporanea e curata da Fabio Cafagna: lo sdoppiamento dei soggetti di queste tele e tavole è il meccanismo attraverso il quale la Badelita apre almeno due vie di fuga dalla prigione della specularità e della ripetizione meccanica.
Una è costituita dalla pittura come occasione per mettere in scena inopinate incrinature nell’azione implacabile dello specchio, laddove, in una grande composizione d’ispirazione fiamminga, lo sdoppiamento dell’immagine rivela inquietanti e ironiche varianti, pause, assenze. L’altra fa capo a una tecnica messa a punto dall’autrice, che attraverso una sorta di pantografo si mette nelle condizioni di operare con due pennelli simultaneamente.
Uno, guidato dalla sua mano, produce esempi di autentico virtuosismo, desunti dalla grande tradizione della natura morta olandese; dall’altro, collegato al primo, scaturisce una «proiezione» informale del soggetto principale, quasi un’ombra colorata e insieme rivelatrice della struttura gestuale e cromatica che è alla base del soggetto «principale».
Le virgolette sono d’obbligo perché, in queste composizioni, è difficile attribuire una gerarchia agli elementi ritratti: di certo, il provocatorio ammiccamento al kitsch attraverso l’uso di porcellane e soprammobili come modelli, è clamorosamente smentito dalla brillantezza inquieta e dall’eleganza con cui prende vita l’elemento sdoppiato.
Il tutto all’insegna della coscienza di una necessità, anche nell’epoca delle scorciatoie, del gelo e della velocità digitale, di una pittura che torna ad essere esercizio quotidiano guidato dalla lentezza di stesure e velature, ma anche da una profonda riflessione sull’antico ruolo dell’arte come rivelazione di ciò che sfugge alla pigrizia del guardare.
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