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Quarant’anni di attività di Gastel in Palazzo della Ragione
Di antichissima nobiltà per parte di madre (Ida Pace, detta Nane, Visconti di Modrone, discendente da quei Visconti che furono i signori di Milano) e di non inferiore discendenza per parte di padre (Giuseppe Gastel, esponente dell’«aristocrazia» imprenditoriale), e per di più nipote di Luchino Visconti che lo indusse a recitare dodicenne in una compagnia di teatro sperimentale, Giovanni Gastel (Milano, 1955) ha saputo mettere a frutto l’eredità di cultura, gusto e creatività della sua famiglia diventando uno dei maggiori fotografi del nostro tempo. Una vocazione, la sua, scoperta quasi per caso, quando nel 1972, ancora liceale, prende a scattare le prime fotografie nei suoi viaggi lungo le sponde meridionali del Mediterraneo, in un’Africa cui aveva già reso omaggio poco prima nella raccolta di poesie intitolata «Kasbah».
Sarà la collaborazione con la casa d’aste Christie’s, per la quale realizza tra il 1975 e il 1976 una serie di still life, a fargli capire che quella passione può trasformarsi in una professione. Da allora Gastel elaborerà l’identità visiva di molte aziende italiane, realizzando campagne pubblicitarie e cataloghi per la moda (cui si accosta nel 1982, conoscendo un successo internazionale), il design, il mondo del gioiello. Senza mai smettere, però, di realizzare ritratti, lavori di sperimentazione sul medium fotografico e sofisticate ricerche formali alimentate dalla sua passione per l’arte, specie rinascimentale, e dall’amore per l’eleganza trasmessogli dalla madre.
Nel tempo sono state oltre 50 le testate italiane e internazionali con cui ha collaborato, 130 le copertine pubblicate, oltre 500 le campagne e i cataloghi eseguiti, più di 300 i ritratti, a colori e in bianco e nero: lavori realizzati in prevalenza con l’uso del banco ottico e delle lastre Polaroid 20x25 e poi con le tecnologie digitali.
Dal 23 settembre al 13 novembre quarant’anni del suo lavoro saranno in mostra in Palazzo della Ragione, nella personale curata da Germano Celant (che già aveva presentato la sua prima grande mostra pubblica in Triennale, nel 1997) e allestita da Piero Lissoni, che ha puntato sull’immagine del labirinto per evidenziare gli intrecci tra la sua arte, visiva e poetica, e una vicenda biografica comunque fuori dell’ordinario. A commento, una monografia a cura di Germano Celant, edita da Francesco Mondadori.
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